Evolution never sTOPS!
Il cinto pettorale come mappa evolutiva: cosa rivelano gli ibridi del genere 𝘾𝙝𝙧𝙤𝙨𝙤𝙢𝙪𝙨
Morfometria, reti anatomiche e modularità mostrano come gli ibridi generino strutture uniche, aiutando a interpretare l'anatomia dei vertebrati estinti e i loro "percorsi" evolutivi.
ACTINOPTERYGII ODIERNIEVOLUZIONE IN DIRETTA: ZOOLOGIA
11/16/20253 min leggere
Capire come le parti di un organismo si organizzano e interagiscono tra loro è uno degli aspetti più interessanti della paleontologia e dell’anatomia comparata, soprattutto perché in ogni animale ossa, muscoli e organi non si sviluppano in modo isolato, ma come parti di un sistema integrato, una sorta di “unico blocco o pacchetto” dove ogni elemento influenza gli altri. E questo vale tantissimo soprattutto quando si parla di geni: difficilmente un solo gene codifica per un solo carattere, e così vale anche per ciò che è “visibile a occhio nudo”.
Questa interconnessione, chiamata integrazione (anatomical integration), convive con un’altra proprietà fondamentale: la modularità, cioè la capacità di certi gruppi di strutture di variare o evolvere in modo quasi indipendente dal resto. Esistono tanti esempi: per esempio, nell’evoluzione umana, il trend evolutivo dell’encefalizzazione (aumento della capacità cranica) va di pari passo con la riduzione delle dimensioni dentali, la riduzione a livello morfometrico di certe componenti ossee, come la scomparsa di una cresta sagittale e l’alleggerimento della mandibola, ecc. Insomma, comprendere il bilanciamento tra questi due aspetti aiuta a spiegare l’esistenza di forme anatomiche complesse senza compromettere la funzionalità complessiva del corpo.
In uno studio pubblicato su The Anatomical Record, un gruppo di ricercatori ha analizzato il cinto pettorale, cioè il complesso osseo che collega le pinne anteriori al resto del corpo, di un gruppo di piccoli pesci nordamericani appartenenti al “complesso ibrido” Chrosomus eos–neogaeus. Questi pesci sono un classico caso di ibridazione: due specie parentali, C. eos e C. neogaeus, si incrociano generando linee ibride che si riproducono senza fecondazione maschile, “clonandosi” ma mantenendo una sorprendente varietà morfologica.
I ricercatori hanno utilizzato due approcci: la geometria morfometrica (GMM), che misura la variazione delle forme attraverso punti anatomici, e l’analisi di rete anatomica (AnNA), che rappresenta le ossa come nodi connessi da legami strutturali. Quest’ultima permette di studiare la “topologia” dello scheletro, cioè come le ossa si collegano tra loro, e quindi di individuare moduli anatomici funzionalmente o evolutivamente coerenti.
Il risultato? Sebbene la struttura generale del cinto pettorale resti simile tra specie e ibridi, le differenze nella forma e nelle connessioni tra ossa rivelano schemi di modularità complessi. Gli ibridi mostrano combinazioni anatomiche che non si trovano in nessuno dei parentali, suggerendo che la fusione o la separazione di determinati elementi ossei possa offrire “nuove opportunità” dal punto di vista evoluzionistico. E questo può far capire quanto sia difficile studiare certe strutture anatomiche appartenenti a gruppi estinti, perché una tale differenza può suggerire, dal punto di vista paleontologico, per esempio, che due o più gruppi possano essere morfologicamente distinti e quindi appartenere a specie diverse, quando in certi casi potrebbe trattarsi di ibridazione. Inoltre, dal punto di vista evolutivo, un cambiamento così rapido potrebbe permettere la comparsa e l’aumento di frequenza di un certo carattere in una popolazione in tempi brevi, naturalmente con un po’ di fortuna e se svolge una funzione che possa permettere la sopravvivenza del gruppo.
Approfondimenti
Il cinto pettorale in questi ibridi mostra quindi un’alta variabilità morfologica e anche un’elevata modularità. Infatti C. neogaeus presenta coracoidi e radiali ingranditi e fusioni ossee tra cleitro, coracoide e radiali, mentre C. eos ha invece una cinghia pettorale più gracile e priva di fusioni, con elementi più indipendenti. Gli ibridi però possiedono morfologie intermedie o uniche, diverse da entrambe le specie parentali. Le variazioni significative si verificano nelle connessioni scapola–radiale 3 e coracoide–radiale 2, che modificano la posizione e la mobilità della pinna pettorale, ma ci sono anche differenze nel “peso” dei contatti ossei: C. neogaeus, per esempio, mostra connessioni più forti, fuse o saldate tra scapola, cleitro e coracoide. Le reti anatomiche con pesi variabili invece evidenziano contatti più o meno stretti, indicando differenze funzionali nelle articolazioni. Infatti, la fusione del primo radiale con la scapola, esclusiva di C. neogaeus, riduce la mobilità della pinna anteriore. In generale, le differenze topologiche rispecchiano variazioni nella funzionalità locomotoria e nella trasmissione della forza durante il nuoto.
Dal punto di vista paleontologico, i risultati mostrano come variazioni topologiche (integration e modularity) e fusioni ossee possano rappresentare un meccanismo evolutivo parallelo a quanto osservato nei fossili di altri vertebrati. Infatti, le fusioni tra elementi pettorali suggeriscono trend evolutivi legati alla semplificazione strutturale, come la riduzione del numero di ossa, un processo comune in alcuni pesci ossei, ma anche nei tetrapodi e negli attinopterigi fossili. Le differenze tra ibridi e parentali sono legate a processi di plasticità morfologica osservati nella documentazione fossile di pesci ibridati o in transizione morfo-funzionale. La presenza di modularità conservata ma con variazione interna potrebbe spiegare fenomeni di evoluzione a mosaico nei reperti paleoittiologici.
La modularità del cinto pettorale è in gran parte conservata, ma nei vari ibridi le parti del cingolo pettorale non “si muovono insieme” nello stesso modo: cambiano i rapporti di dipendenza tra moduli e, di conseguenza, anche le potenziali diramazioni dal punto di vista evolutivo (soprattutto per ciò che riguarda la forma). Gli ibridi mostrano asimmetria funzionale: il lato sinistro è più variabile, suggerendo instabilità nello sviluppo post-ibridazione. Ma in generale la modularità permette ai pesci ibridi di generare nuove combinazioni strutturali senza perdere funzionalità, senza contare che le variazioni nei contatti ossei riflettono differenze nello sviluppo embrionale e nell’espressione genica (es. fgf8, bmp4, sox9a).
Fonte testo: Duclos, K. K., Grünbaum, T., Angers, B., Cloutier, R., & Jamniczky, H. A. (2025). Topological and variational modularity: A case study using the pectoral girdle across the Chrosomus eos–neogaeus hybridization complex. The Anatomical Record. Advance online publication
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