Evolution never sTOPS!

grayscale photography of elephant

Una specie estinta potenzialmente adattabile in tempi odierni

Alcune specie, seppur estinte, sono state estremamente importanti in certi contesti ecologici. Le influenze sono tali che permetterebbero, ad alcune di queste specie, di poter vivere anche in tempi odierni.

PROBOSCIDEAPALEOECOLOGIA E PALEOBIOLOGIA DELLA CONSERVAZIONE

11/16/20254 min leggere

L’Europa nel Pleistocene è stata caratterizzata dalla presenza di grossissimi animali che hanno letteralmente dominato gli antichi ambienti, proprio come Palaeoloxodon antiquus, elefante dalle “zanne dritte”, che abitò il continente europeo per circa 700.000 anni. Questi fossili non sono solo importanti dal punto di vista tassonomico, ma riescono anche a ricostruire gli antichi ambienti e la nicchia che, per esempio, questi grandi animali occupavano, e mostrano che il clima attuale, in gran parte dell’Europa occidentale e centrale, escluse però le alte montagne, offrirebbe zone ancora adatte alla sua sopravvivenza.

Inoltre, i ricercatori indicano come queste megafaune svolgessero un ruolo critico in quanto considerate ecosystem engineers, cioè letteralmente “ingegneri dell’ecosistema”. E ciò rientra tranquillamente nel meccanismo evolutivo chiamato Teoria della Costruzione di Nicchia, dove gli animali che modificano l’ambiente influenzano anche la nicchia di altri animali, ma anche viceversa, cioè reciprocamente si influenzano. Infatti, attraverso il foraggiamento, il calpestio o calpestamento, la modifica della vegetazione e della struttura del paesaggio, contribuivano a lasciare una sorta di impronta ecologica duratura nelle comunità vegetali e faunistiche.

E questo, per un naturalista e biologo, come concetto è normale, ma apre comunque a nuovi interrogativi. Questo perché, se questa specie ha influenzato la nicchia di altre specie, la scomparsa proprio di questa specie che influenza ha avuto? Qual è stata la sua portata? Insomma, le implicazioni sono tante, soprattutto nell’ambito della conservazione, della gestione del paesaggio e della possibilità di ripopolamenti o restauri ecologici che tengano conto di queste “funzioni perdute”.

Entriamo ora nel dettaglio

Palaeoloxodon antiquus è un proboscidato dalle zanne dritte e i più stretti parenti viventi africani come Loxodonta cyclotis e L. africana, e la sua presenza in Europa incomincia nel record fossile circa 700.000 anni fa, per poi scomparire tra i 50.000 e i 34.000 anni circa. Si tratta di una specie che ha origini africane ed è entrata in Eurasia proprio attraverso il Levante circa 800–600 mila anni fa circa, sfruttando lo stesso passaggio (o meglio, uno dei tanti) utilizzati dal genere Homo, ed è caratteristica di ambienti semi-aperti o aperti, o comunque tipici di habitat caratterizzati da vegetazione “a mosaico”, un po’ come nel caso degli elefanti moderni.

Si trattava di un animale di grosse dimensioni: infatti l’altezza adulta che poteva raggiungere un maschio era di 370–450 cm e il peso stimato era di 10–15 tonnellate. Ma è un animale che oggi sarebbe passato “quasi” inaspettato, proprio perché possedeva peli simili a Elephas maximus, cioè l’attuale elefante asiatico, ma un pochino diverso per quanto riguarda la dieta. Inizialmente erano erbivori misti, a base di erba, poi più folivori (foglie) nel Pleistocene tardivo.

A livello ecologico, come detto nella prima parte, svolgevano una funzione ecologica molto particolare, in quanto erano capaci di modificare il terreno e di influenzare altre nicchie ecologiche (ecosystem engineers). Infatti tracciavano il paesaggio tramite brucamento, calpestio e scavo, e probabilmente P. antiquus ha mantenuto boschi radi, cioè distanziati tra di loro, e spazi aperti in Europa. Di conseguenza influenzava la diversità vegetale europea e favoriva specie adattate agli ambienti aperti. E con molta probabilità la sua estinzione è stata in qualche modo guidata dagli esseri umani, ma non sono stati i protagonisti assoluti, perché a quel tempo le popolazioni e il range di distribuzione di queste specie erano già ridotte. Insomma, gli esseri umani hanno aiutato ad estinguere questa specie.

Il range di distribuzione era davvero notevole in Europa, in quanto si estendeva dall’Europa centrale, nella parte occidentale e nel Mediterraneo, e sopravvisse sia ai periodi glaciali che interglaciali. Durante il Last Glacial Maximum o LGM, la distribuzione arrivò ai minimi termini, e si tratta di un periodo che si estese tra i 34.000 e i 18.000 anni fa circa. E quello che si chiedono i ricercatori è: “quali parti d’Europa occuperebbe adesso, se fosse sopravvissuta?” I ricercatori affermano che se questa specie fosse sopravvissuta, un ambiente adatto sarebbe stato in generale le pianure, in particolar modo quelle dell’Europa occidentale e centrale, così come avrebbe occupato anche le coste del Mediterraneo. Al contrario, in zone montuose come Caucaso, Pirenei, Carpazi e Alpi non sarebbe stato facile sopravvivere. Ma i ricercatori estendono ancora di più il potenziale range di distribuzione odierno: infatti sarebbe potuto sopravvivere anche nell’attuale Levante e in Nord Africa, e ciò è stato possibile grazie a una stima ottenuta attraverso lo Species Distribution Model (SDM).

Senza pensare a possibili parchi paleontologici o a un possibile “Pleistocene Park”, cavalcando l’onda del famoso Jurassic Park o di particolari aziende che fanno esperimenti di ingegneria genetica, questa scoperta è comunque molto importante sia a livello ecologico che a livello conservazionistico, soprattutto nei confronti della biodiversità e degli habitat colpiti dalle azioni dell’uomo. Ciò che emerge è che non è molto facile, se non impossibile, ripristinare le funzioni ecologiche degli organismi appartenenti alla cosiddetta megafauna (estinta), ma è possibile intervenire con progetti di rewilding che permetterebbero la reintroduzione di altri “grandi” erbivori come bovidi, cavalli, ecc., come sostituti ecologici. Tuttavia, di certo non possono replicare il ruolo che ricopriva P. antiquus, soprattutto perché mancherebbero certe dinamiche legate alla migrazione e al loro comportamento.

Ma le sfide sono tante, in quanto ciò comporterebbe un cambiamento delle strutture del paesaggio e, soprattutto, delle interazioni tra le specie, e ciò comporterebbe comunque una perdita di specie co-dipendenti, perdendo interazioni che si sono consolidate nel corso del tempo, come predazioni, parassitismo, ecc. E ciò inevitabilmente comporterebbe anche una frammentazione degli habitat (dettata anche dall’elevata densità umana).

Ciò che si può dire in generale è che oggi l’Europa potrebbe supportare, a livello ecologico, una specie come P. antiquus, soprattutto sotto l’aspetto climatico. Anche perché gli ecosistemi modellati dalle megafaune mostrano un potenziale notevole, oltre a influenzare, anche se indirettamente, le specie attuali che hanno occupato queste nicchie dopo la loro estinzione.

Fonte: Gaiser, F., Müller, C., Phan, P., Mathes, G.H., & Steinbauer, M.J. (2025). Europe’s lost landscape sculptors: Today’s potential range of the extinct elephant Palaeoloxodon antiquus. Frontiers of Biogeography, 18: e135081.