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Come viveva un rinoceronte estinto: ambiente, dieta e comportamenti di 𝙏𝙚𝙡𝙚𝙤𝙘𝙚𝙧𝙖𝙨 𝙢𝙖𝙟𝙤𝙧
Questo rinoceronte del Miocene, anche grazie a un gran numero di resti preservati eccezionalmente, sappiamo qualcosa in più sul suo ambiente.
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10/27/20255 min leggere
Studiare animali erbivori ma anche carnivori in realtà è molto importante per capire come un ambiente cambia, evolve nel corso del tempo e come evolvono le nicchie ecologiche e le relazioni tra gli organismi. In questo, gli ungulati o comunque i grandi erbivori terrestri, come gli ungulati, forniscono informazioni anche sulla struttura della vegetazione. Questo perché l’erbivoria degli ungulati e il ciclo dei nutrienti in generale influenzano enormemente la biodiversità animale e vegetale, come per esempio le savane, caratterizzate da biomi con prati e foreste sparse, e queste sono particolarmente influenzate dall’erbivoria.
I protagonisti di questo studio sono alcuni resti rinvenuti nelle Ashfall Fossil Beds in Nebraska, con una datazione al Miocene, circa (11,86 ± 0,13 Ma). In questo periodo si assiste a un’eruzione vulcanica del famosissimo vulcano Yellowstone, con le ceneri vulcaniche che hanno sepolto centinaia di erbivori e, in particolar modo, Teleoceras major, un Rhinocerotidae del Miocene medio. Il numero di individui è impressionante: infatti sono sicuramente più di 100 e, allo stesso tempo, sono ben conservati, permettendo così di fare studi approfonditi su questa specie.
Infatti, tra i tanti punti studiati, i ricercatori hanno voluto analizzare la mobilità di T. major, soprattutto valutandone tre tipologie: la dispersione (natal dispersal) per capire se gli individui subadulti lasciassero l’area natale per evitare le competizioni intraspecifiche, così come anche l’inbreeding; seasonal migration per capire se gli individui si spostassero in base alla disponibilità di cibo e acqua; long-distance movement per valutare se ci fossero stati movimenti “a lungo raggio” in risposta a cambiamenti ambientali ben più catastrofici rispetto alla mancanza di cibo e acqua.
Per capire ciò, sono stati analizzati gli isotopi dello smalto dentale, studiando soprattutto gli isotopi del carbonio (δ¹³C), ossigeno (δ¹⁸O) e stronzio (⁸⁷Sr/⁸⁶Sr). Questo è importante perché gli spostamenti vengono registrati proprio da queste “firme isotopiche” che caratterizzano i vari ambienti.
In generale, tutti gli individui campionati mostrano una “mobilità limitata”, quindi si tratta di individui locali. Questo è anche comprovato da alcuni dettagli anatomici: infatti, un corpo tozzo e gli arti corti di T. major sono tipici di un animale semi-acquatico, e ciò limitava enormemente i movimenti molto lunghi e distanti. In generale, non sono state trovate tracce di migrazioni stagionali o migrazioni dovute a un grande cambiamento ambientale, come un’eruzione vulcanica.
Infatti, la dieta era caratterizzata da specie vegetali locali e probabilmente la struttura sociale era consolidata, caratterizzata dalla presenza di gruppi relativamente distinti ma sempre appartenenti alla stessa grande popolazione. Di conseguenza, si capisce che T. major vivesse in grandi branchi che non migravano, un comportamento simile a quello degli odierni ippopotami.
Approfondimenti
La ricerca restituisce un sacco di informazioni, ma ciò è possibile anche grazie a uno studio approfondito, per esempio, degli isotopi, molto importanti per studiare gli ambienti antichi. L’isotopo δ¹⁸O (ossigeno) permette di capire quale tipologia di acqua venne ingerita da un individuo (o da una popolazione, come in questo caso) e la presenza o assenza di questo isotopo è influenzata dalla temperatura e dall’umidità dell’ambiente. Può indicare la tipologia di nicchia ecologica (es. se si tratta di un ambiente secco o umido) e la stagionalità. Se si tratta di organismi semi-acquatici, come in questo caso o nel caso degli ippopotami, i valori saranno decisamente bassi. In sostanza, quando nei gusci carbonatici, nei ghiacci o nei fossili troviamo valori più alti di δ¹⁸O, significa che in genere ci si trova in un ambiente con temperature più basse o con evaporazione intensa (acqua più “pesante”), mentre valori più bassi sono indice di alte temperature o di un maggior apporto di acqua dolce.
Per quanto riguarda ⁸⁷Sr/⁸⁶Sr (stronzio), qui si approfondiscono questioni un po’ più geologiche, in quanto riflette proprio la geologia del luogo di foraggiamento e permette di fare una sorta di “tracciamento spaziale”. Questo grazie a fonti quali roccia madre, sedimenti, acqua e aerosol. Può evidenziare cambiamenti di habitat e spostamenti. In parole povere, lo ⁸⁷Sr deriva dal decadimento del ⁸⁷Rb (rubidio), quindi le rocce più antiche e radiogeniche (es. graniti) hanno rapporti ⁸⁷Sr/⁸⁶Sr più alti, mentre le rocce più giovani o basaltiche hanno rapporti più bassi. Negli organismi (es. denti, ossa, conchiglie), il rapporto riflette quello del substrato geologico e dell’acqua dell’area in cui vivevano, risultando utile per studi di mobilità, migrazione e provenienza geografica.
Ora passiamo alle piante e alla loro importanza. Infatti, il δ¹³C (carbonio) indica quale fosse la dieta degli animali erbivori, in quanto permette di capire se si nutrissero di piante C3 o C4. Nel Miocene medio, la presenza di piante C4 è ≤ 20% e quindi il loro impatto fu minore. Di conseguenza, questo parametro permette di capire se quelli che abbiamo davanti sono “erbivori C3”, che abitano habitat diversi e presentano variazioni stagionali minime. Le piante C3 usano il ciclo di Calvin direttamente per fissare il carbonio, con il primo composto stabile prodotto che è un 3-carbonio (3-phosphoglycerate), e da qui il nome C3. Le piante C4, invece, usano una via aggiuntiva (ciclo C4 / via Hatch-Slack) che prima fissa la CO₂ in un composto a 4 carboni (ossalacetato), che poi viene trasportato a cellule specializzate per il ciclo di Calvin.
Questo, in termini di efficienza, significa che la C3 è meno efficiente ad alte temperature o in condizioni di scarsa acqua, perché la rubisco cattura anche O₂ e quindi si ha fotorespirazione. La C4 è più efficiente in ambienti caldi e secchi, grazie alla concentrazione interna di CO₂, che riduce la fotorespirazione. Di conseguenza, se troviamo maggiori tracce di C3, significa che ci troviamo in ambienti con climi temperati o umidi (es. alberi, erbe dei boschi, ecc.). Con le piante C4 ci troviamo invece in zone caratterizzate da climi caldi e secchi (es. savane, praterie, molte graminacee).
Ma ora passiamo alle caratteristiche biologiche di Teleoceras major. Si tratta di un rinoceronte, un animale “barrel-bodied”, cioè caratterizzato da un corpo tozzo e massiccio, con torace ampio, tipico di animali adattati a spazi aperti o climi freddi. Erano dotati anche di gambe corte (brachypody) e quindi caratterizzati da arti relativamente corti rispetto al corpo, indicativi di un adattamento a terreni duri o pianeggianti, non alla corsa veloce. I molari erano hypsodonti, cioè denti con corona alta, che permettevano a questi animali di alimentarsi di vegetazione abrasiva (erba e materiale ricco di silice), tipici di una dieta mista o erbivora in ambienti aperti.
Inoltre, in questa specie il dimorfismo sessuale era abbastanza marcato, in quanto i maschi possedevano “zanne” lunghe e appuntite, mentre erano più corte nelle femmine, e ciò suggerisce che ci fosse un certo grado di poliginia. I maschi tendevano quindi ad abbandonare il gruppo originario e di appartenenza, ma come rivelato dai dati non si spostavano molto lontano, o almeno è quello che in teoria ciò farebbe supporre. Tuttavia, la socialità era comunque complessa, in quanto si trattava di gruppi stabili, di gruppi sociali già formati, stabili e coesi, composti da individui della stessa specie, che avevano una struttura sociale “riconosciuta” (gerarchie, ruoli, legami, territori, ecc.). Si trattava di gruppi già organizzati e non appena formati: i membri si “conoscevano” e avevano relazioni sociali consolidate, presentando stabilità nel tempo, a differenza di aggregazioni temporanee.
Non vivevano isolati come i moderni rinoceronti, e le evidenze dal sito indicano che i gruppi erano formati prevalentemente da femmine adulte, cuccioli, femmine subadulte o giovane-adulte non ancora formate. I maschi subadulti sono assenti. I maschi subadulti si muovevano. È possibile anche che avvenissero migrazioni stagionali, ma del tutto limitate, magari a causa della disponibilità di acqua e cibo, ed è possibile un movimento a lungo raggio in risposta alle eruzioni vulcaniche.
Sono interessanti anche i dati evidenziati da micro e mesowear, che indicano una predilezione sia per le foglie che per “l’erba”, e il peso di questi individui: i maschi potevano raggiungere un peso compreso tra 880 e 1110 kg, mentre le femmine un peso minore, compreso tra 785 e 840 kg.
Inoltre, per concludere, non sono state trovate tracce di dispersione post-cow-calf separation, cioè la dispersione che avviene dopo la separazione tra la madre (cow) e il piccolo (calf). Inoltre, potrebbero esserci dei motivi ambientali per questa sorta di “sedentarietà”, infatti il clima poteva essere uniformemente caldo e ciò permetteva un’alta produttività vegetale, quindi le risorse erano presenti tutto l’anno. La condizione di semi-acquaticità indica un accesso continuo all’acqua e quindi non era conveniente allontanarsi da una fonte comunque disponibile. Mentre la dieta mista indica una flessibilità dietetica tale da ridurre bisogni legati alla migrazione, quindi alla ricerca di nuove fonti. L’eventuale dispersione tra i vari gruppi avveniva probabilmente per ridurre o evitare l’inbreeding. Insomma, il clima del Miocene permetteva di avere risorse sufficienti tutto l’anno.
Fonte: Ward, C.T., Crowley, B.E. & Secord, R. Enamel carbon, oxygen, and strontium isotopes reveal limited mobility in an extinct rhinoceros at Ashfall Fossil Beds, Nebraska, USA. Sci Rep 15, 11651 (2025).
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