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I gliptodonti si sono estinti a causa dell’uomo?
Anche questi animali, caratterizzati da affascinantissimi osteodermi, si sono estinti a causa dell’uomo?
𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨 ARRIVA IN AMERICAXENARTRI: ECOLOGIA ED ECOSISTEMI
10/25/20256 min leggere
Si tratta di animali molto affascinanti, soprattutto da studiare dal punto di vista paleontologico, e allo stesso tempo fanno parte della cosiddetta “megafauna” che, in una maniera o nell’altra, è stata influenzata dalla presenza dell’uomo, un po’ in tutto il mondo. E la domanda sorge spontanea: anche questi animali, caratterizzati da affascinantissimi osteodermi, si sono estinti a causa dell’uomo?
Naturalmente c’è da precisare che questi organismi sono xenartri, come i famosi “bradipi giganti” (a cui appartengono una miriade di specie, generi e famiglie), quindi in un modo o nell’altro ciò che vogliamo capire è quando l’uomo ha influenzato la fauna sudamericana e se il suo arrivo ha portato all’estinzione questi animali (e non solo!). La risposta non è scontata e, per parlare di ciò, bisogna prendere in esame tre pubblicazioni diverse.
La prima presa in esame è del 2022 e ha come protagonista il Glyptotherium. Sembra che ci siano state interazioni con umani nel tardo Pleistocene nei pressi del Venezuela. I siti che testimoniano questo contatto sono Muaco e Taima-Taima, nello stato di Falcón, Venezuela, vicino alla costa caraibica, e questa è la datazione dei siti: circa 19.800–15.800 cal ybp (Muaco), 17.300–15.780 cal ybp (Taima-Taima). Qui l’ambiente era molto diverso rispetto a quello odierno: infatti, nel tardo Pleistocene la zona era decisamente più umida rispetto alla condizione attuale di semi-aridità, senza contare che erano presenti molte sorgenti d’acqua capaci di attirare le faune locali, uomo compreso. Questo è importante perché si tratta di un altro tassello (uno dei tanti, a dire il vero) che testimonia che l’uomo arrivò in America molto prima di quanto ipotizzato.
La specie studiata è Glyptotherium cf. cylindricum, che poteva raggiungere un peso di 350–380 kg, e questo è stato possibile calcolarlo dalla geometria cranica e dai molari. Era caratterizzato da uno cephalic shield (scudo cefalico/craniale), più spesso al centro e più sottile ai margini anteriori e parietali. Attraverso una serie di tecniche, come il CT scanning e altre relative al contesto tafonomico, ci sono dei segni che testimoniano l’interazione umana con questi animali.
Sono infatti presenti fratture verticali-diagonali concentrate nella parte anteriore/parietale e non presenti in altre aree fragili (come ad esempio le arcate zigomatiche). Queste fratture sono state causate attraverso una tipologia di colpo ben specifica, cioè una percussione diretta con strumenti pesanti, come choppers di pietra o mazze in legno. Il risultato è che i frammenti ossei, per via dei colpi, sono penetrati nei tessuti molli e sono coerenti a traumi ante-mortem o trans-mortem. Inoltre, è significativa l’assenza di mandibole nei crani, che risultano comunque ben conservati, e da ciò si deduce che è possibile che le mandibole siano state rimosse per permettere all’uomo il consumo di lingua e di altri muscoli.
È possibile quindi ricostruire un po’ la dinamica di questa caccia, che forse non è stata nemmeno troppo difficoltosa per questi esseri umani. Questo perché i gliptodonti in generale erano lenti, il loro campo visivo era in parte limitato e anche gli arti anteriori rendevano questi animali poco mobili, e di conseguenza risultavano essere delle prede relativamente facili da cacciare, soprattutto se colpiti in certi punti vulnerabili come la testa. Infatti, i colpi citati precedentemente si trovano in prossimità dello scudo craniale, che risulta essere una delle aree più sottili della regione craniale. Inoltre, erano animali molto pesanti e si superavano le centinaia di kg di grasso e carne accessibili, anche superiori a 150 kg per un individuo adulto. Si ipotizza quindi che l’uomo conducesse una caccia attiva nei confronti di questi animali, evitando la semplice predazione o lo scavenging.
Questo quindi conferma che gli umani, già circa 20.000 anni fa (ci sono anche altri lavori che retrodatano il contatto), in Venezuela convivevano con la megafauna, ed è possibile che l’estinzione della megafauna sia stata influenzata dalla presenza umana. Tuttavia, questo studio si ferma qui, in quanto non si tratta di una prova diretta dell’estinzione causata dall’uomo, ma dimostra solo una capacità di caccia molto particolare.
C’è da dire che Glyptotherium e altri animali della megafauna arrivarono in Sud America durante la fase finale delle glaciazioni, attraverso l’istmo di Panama, e che circa l’82% della megafauna si estinse in Sud America contro il 70% in Nord America (cultura Clovis, circa 15.000 anni fa). Inoltre, la sopravvivenza della megafauna in Africa dimostra che umani e animali giganti potevano coesistere.
Ora passiamo ad uno studio del 2024 e questa volta abbiamo come protagonista Neosclerocalyptus sp. (Xenarthra, Glyptodontidae). I resti di questa specie sono stati rinvenuti nella località di Luján Formation, Reconquista River, Merlo, Buenos Aires, Argentina. Sono stati rinvenuti osteodermi e altre componenti post-craniali e proprio l’assenza del cranio non ha permesso di determinare la specie.
A livello tafonomico il corpo di quest’animale si trovava al momento del seppellimento sdraiato sul lato destro (elementi caudali articolati, carapace conservato) e la presenza di sabbie fini e argille laminate e la presenza di ossidi di Fe e Mn (analisi EDX), assieme ad altri elementi, indicano una sepoltura relativamente rapida.
Su questi elementi ossei sono stati trovati segni dei cosiddetti “cut marks” (segni di macellazione, giusto per essere generici) ed in totale sono 32, distribuiti sul bacino, sulle vertebre caudali e anche su molti osteodermi. Inoltre, questi cut marks hanno una forma a “V” e non a “U”, e la loro disposizione non è casuale, in quanto si trovano nei pressi di punti anatomici ricchi di muscolatura, come nel caso della cintura pelvica e della coda, che assieme formano circa il 70% della massa muscolare.
Naturalmente sono stati studiati a fondo i cut marks sia per quanto riguarda la profondità di incisione o l’angolo, facendo degli esperimenti, e assieme agli altri dati si è arrivati ad alcune considerazioni paleoambientali molto interessanti. In primis, i sedimenti e le laminazioni sono associati a depositi fluviali in zone semi-aride caratterizzate da stagioni umide/secche alternate; gli ossidi di Fe/Mn indicano condizioni alcaline e una scarsità d’acqua.
Per quanto riguarda i tagli, non sono presenti tracce di predazione da parte di altri animali e i tagli su bacino, vertebre e anelli caudali indicano sequenze di macellazione ben specifiche. Esistono però delle differenze angolo/profondità dei cut marks che riflettono l’uso di strumenti litici su ossa con densità diverse.
Qui ci spingiamo ancora indietro nel tempo, perché questi tagli mostrano interazioni dirette della megafauna con l’uomo 21.000 anni fa in Argentina, quindi in altre nazioni quali il Brasile la presenza dell’uomo è ben più antica in Sudamerica, ad almeno 30.000 anni fa.
In quest’ultimo studio si prende in esame la megafauna in generale, studiando il tardo Quaternario, quindi circa 50.000 anni fa fino all’Olocene medio, e sono stati presi in considerazione i vertebrati di grandi dimensioni, superiori a 45 kg (specie viventi ed estinte). Tra le cause dell’estinzione ci sono i cambiamenti climatici del tardo Pleistocene e dell’Olocene, ma sembra che, a livello mondiale, non ci sia un’evidenza “meccanicistica”, cioè le estinzioni sono accadute sia in aree climaticamente stabili che instabili. Pertanto, i cambiamenti climatici hanno sicuramente svolto un ruolo, ma non da protagonista assoluto.
L’uomo nei confronti di flora e fauna si è comportato come una vera e propria “pressione selettiva”, in quanto ha portato all’estinzione diretta e indiretta di molti animali, e la sua diffusione a livello globale sembra essere correlata alle estinzioni sia temporalmente che spazialmente. Le sofisticate capacità di caccia, soprattutto quelle sviluppate e perfezionate per cacciare animali di grosse dimensioni, li rendevano molto pericolosi.
Ciò che si nota è che alcune aree sono state caratterizzate da estinzioni rapide, mentre altre -come quelle degli ultimi 10.000 anni - da estinzioni graduali, e tantissime di queste estinzioni corrispondono sia a livello temporale che spaziale alla presenza dell’uomo, al suo arrivo e alle sue attività. Ciò che ci insegna l’ecologia umana è che l’uomo, grazie soprattutto alla cultura, è riuscito ad influenzare enormemente la fauna e l’ambiente (e viceversa), portando così a modifiche “strutturali” agli ecosistemi terrestri, alterando la vegetazione, come per esempio portando all’apertura o alla chiusura di foreste, o alla comparsa di praterie anche grazie all’ausilio del fuoco, ecc. E proprio queste azioni hanno portato inesorabilmente, oltre ad un’alterazione della vegetazione, a cambiamenti nel ciclo dei nutrienti, alterando o riducendo la biodiversità con cui entrava in contatto.
Ciò che ne consegue è che l’estinzione della megafauna è stato un evento globale unico sia per dimensioni che per selettività, e che il clima ha giocato un ruolo ma non è stato il vero protagonista, in quanto il co-protagonista (l’uomo) ha, in una maniera o nell’altra, portato all’estinzione di molte specie, sia direttamente che indirettamente.
Fonti:
Carlini, A. A., Carrillo-Briceño, J. D., Jaimes, A., Aguilera, O., Zurita, A. E., Iriarte, J., & Sánchez-Villagra, M. R. 2022. Damaged glyptodontid skulls from Late Pleistocene sites of northwestern Venezuela: Evidence of hunting by humans? Swiss Journal of Palaeontology 141: 11.
Del Papa, M., De Los Reyes, M., Poiré, D. G., Rascovan, N., Jofré, G., & Delgado, M. 2024. Anthropic cut marks in extinct megafauna bones from the Pampean region (Argentina) at the last glacial maximum. PLOS ONE 19(7): e0304956.
Svenning, J.-C., Lemoine, R. T., Bergman, J., Buitenwerf, R., Le Roux, E., Lundgren, E., Mungi, N., & Pedersen, R. Ø. 2024. The late-Quaternary megafauna extinctions: Patterns, causes, ecological consequences and implications for ecosystem management in the Anthropocene. Cambridge Prisms: Extinction.
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