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I Neanderthal mangiavano larve e carne in decomposizione?

Il loro microbioma orale può raccontarci tante cose interessanti sull’evoluzione della dieta umana.

MICROBIOMA NEANDERTHALIANO

9/24/20255 min leggere

I Neanderthal mangiavano larve e carne in decomposizione? Cosa ci racconta il loro microbioma orale sull’evoluzione della dieta umana?

Queste domande sono interessanti e sono frutto di studi molto interessanti, anche se il primo è una raccolta di studi da parte di Ann Gibbons, pubblicata sul sito Science a marzo di quest’anno. Ed incominciamo proprio con le larve ( o i vermi in senso lato). Secondo i dati raccolti da Gibbons (non è una vera e propria pubblicazione), i Neanderthal mostrano valori insolitamente alti di azoto-15 (δ¹⁵N), in passato interpretati come indice di dieta ipercarnivora, ma ci sono diversi studi che propongono che questi valori potrebbero derivare dal consumo di carne putrefatta e larve. La necrofagia è del tutto naturale e diffusa nel regno animale, in quanto permette di nutrirsi di resti di animali senza spendere energie e risorse, soprattutto se ci si trova in un periodo nel quale le prede scarseggiano. Senza contare che una preda facile comporta meno infortuni, meno consumo di risorse per la caccia e tanto altro. Come riportato da Gibbons, sono stati condotti esperimenti da parte di Melanie Beasley su cadaveri umani, e sembrerebbero mostrare che la decomposizione aumenta il δ¹⁵N nei tessuti.

Le larve (blow flies, cheese flies, black soldier flies, ecc.), anche se il termine utilizzato è “maggots”, quindi si riferisce allo stadio larvale degli animali riportati tra parentesi, mostrano valori di azoto ancora più alti dei tessuti in decomposizione. I Neanderthal, quindi, potrebbero aver consumato larve come fonte stabile di grassi e proteine. Le larve sono facilmente accessibili durante la macellazione della selvaggina e possono essere raccolte dal suolo, e ciò è confermato anche da altri studi etnografici che testimoniano come le larve siano utilizzate come alimento anche in popolazioni odierne o più recenti. E questo ci permette di ampliare maggiormente la dieta del Neanderthal: poteva nutrirsi di vegetali, cereali, poteva produrre proto-farina, cacciava e si nutriva di organismi marini. Quindi l'immagine del “cacciatore ipercarnivoro” che si ha del Neanderthal continua ad affievolirsi, etichettando quindi il Neanderthal come animale opportunista. Inoltre, gli alti valori di azoto-15 riguardano sia individui maschili che femminili, suggerendo che probabilmente anche gli individui femminili contribuivano con la caccia.

Quindi le proteine, assieme al grasso animale (questo aspetto forse un po’ di più, come riportato da Miki Ben-Dor (2024)), hanno giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione umana. Ma non è da meno anche l’amido. In uno studio pubblicato nel 2021, sono stati analizzati 124 metagenomi di diversi primati. I metagenomi sono l'insieme del materiale genetico (DNA) presente in un campione, in questo caso il biofilm dentale, che è una pellicola di batteri che si forma sui denti. Sono stati studiati campioni di Neanderthal, Homo sapiens, Pan, Gorilla e Alouatta. L'obiettivo dell’analisi di questi campioni è capire le differenze e le somiglianze nei microbiomi dentali tra queste diverse specie. Questo può darci informazioni su come i batteri si sono evoluti e come influenzano la salute orale.

È stato studiato il calculus dentale, o tartaro (il deposito duro e mineralizzato di placca batterica sui denti), questo perché il calculus dentale conserva DNA microbico autentico fino a 100.000 anni fa, e la composizione dei biofilm antichi è sovrapponibile a quella dei moderni.

Sono stati individuati 10 generi batterici fondamentali all'interno del campione analizzato, indicando una composizione batterica chiave per la comunità microbica studiata, e sono condivisi da Homo, Pan, Gorilla e Alouatta. Il nucleo di questi batteri è conservato da oltre 8 milioni di anni (forse fino a 40 milioni) e comprende colonizzatori precoci (Streptococcus, Actinomyces), bridging taxa (Fusobacterium, Corynebacterium), colonizzatori tardivi (Porphyromonas, Treponema), e alcuni patogeni parodontali (es. Porphyromonas gingivalis) fanno parte del core (batterico), non sono esclusivi dell’uomo. Questi “core taxon” svolgono funzioni strutturali e metaboliche chiave nel biofilm e la loro patogenicità moderna è legata a squilibri ecologici.

Le comunità batteriche, però, non riflettono strettamente la filogenesi dell’ospite anche perché i microbiomi sono influenzati da fattori fisiologici, dietetici, comportamentali. In Homo sono stati individuati 27 generi core con alcuni che sono clinicamente rilevanti (es. Streptococcus, Veillonella, Tannerella). Solo Veillonella parvula è quasi esclusivamente umana. Studiare i microbiomi umani antichi non è molto “difficile” (si fa per dire), questo perché non variano significativamente per dieta o periodo storico.

Alla fine, i ricercatori sono riusciti a fare un po’ di chiarezza sulla genomica e filogenia microbica, costruendo alberi filogenetici basati su SNP per 8 batteri core. Le sequenze si raggruppano per genere dell’ospite, ma non rispecchiano fedelmente la filogenesi. I Neanderthal formano un gruppo compatto che può essere facilmente individuato. Per esempio, l’individuo di El Mirón (18,6 ka) condivide il microbioma con i Neanderthal, ma dopo 14 ka queste varianti scompaiono, e questo potrebbe essere un possibile riflesso del “ricambio genetico” umano post-glaciale (un cambio di dieta radicale).

Di conseguenza, i dati in questione e i geni indicano che il genere Homo presenta proprio un gran numero di geni che svolgono una funzione nella digestione e nel metabolismo dei carboidrati. I geni coinvolti sono prevalentemente di Streptococcus e Homo presenta un’abbondante…

E nel genere Homo si osserva una notevole abbondanza di batteri del genere Streptococcus, suddivisi in tre gruppi principali:

  • Mitis: questi batteri sono spesso associati alla salute orale e possono contribuire alla formazione della placca dentale.

  • Sanguinis: questo gruppo è noto per la sua capacità di colonizzare la bocca e può avere un ruolo nella salute dentale e sistemica.

  • Salivarius: alcuni ceppi di questo gruppo producono salivaricini, che sono sostanze antibatteriche con potenziali effetti probiotici.

Questi gruppi sono importanti perché possiedono proteine che legano l’amilasi salivare (abpA, abpB): abpB è presente in tutti gli individui Homo sequenziati profondamente mentre abpA è più frequente negli umani moderni. Le proteine abpA/abpB facilitano l’adesione dentale e permettono l’uso di amido salivare come nutriente.

Si può parlare di convergenza evolutiva vera e propria, questo perché abpA e abpB non sono omologhi ma funzionalmente simili. Il gene umano AMY1 (amilasi salivare) ha copy number elevato (fino a 30 copie diploidi), e di conseguenza l’espansione di AMY1 è avvenuta dopo la separazione Homo sapiens / Neanderthal.

Inoltre, l’abbondanza di Streptococcus amilasi-associati è un tratto distintivo di Homo, e ciò comporta alcune risposte interessanti:

  • L’uso dell’amido (forse cucinato) è legato, dal punto di vista energetico, all’encefalizzazione in Homo e all’evoluzione della dieta umana;

  • La perdita di varianti batteriche Neanderthal-like dopo 14 ka corrisponde alla sostituzione genetica umana in Europa;

  • L’amido ha plasmato la struttura del biofilm orale già prima della separazione Homo sapiens–Neanderthal.

Questi due studi, pur affrontando aspetti differenti, indicano (ancora di più) quanto fosse complessa e variegata la dieta neanderthaliana e del genere Homo. Da un lato, i dati isotopici sull’azoto-15 e il possibile consumo di carne putrefatta e larve suggeriscono un adattamento opportunistico e flessibile alla disponibilità di risorse, capace di ridurre il rischio e lo sforzo della caccia. Dall’altro, l’analisi dei microbiomi orali, basata sul tartaro fossile, evidenzia una dieta in cui l’amido ha giocato un ruolo chiave e sempre più marcato, soprattutto in Homo sapiens, contribuendo sia all’evoluzione della microbiota orale che all’espansione cerebrale.

Se il primo studio ci mostra una plasticità ecologica in risposta a condizioni ambientali difficili (come scarsità di prede o stress nutrizionali), il secondo evidenzia un’altra forma di adattamento: quella metabolica e simbiotica, con batteri orali capaci di co-evolversi con l’uomo per trarre vantaggio dall’amido, risorsa energetica ad alta disponibilità.

Fonti:

  • Fellows Yates, J. A., Velsko, I. M., Aron, F., Posth, C., Hofman, C. A., Austin, R. M., Parker, C. E., Mann, A. E., Nägele, K., Arthur, K. W., Arthur, J. W., Bauer, C. C., Crevecoeur, I., Cupillard, C., Curtis, M. C., Dalén, L., Díaz-Zorita Bonilla, M., Díez Fernández-Lomana, J. C., Drucker, D. G., … Warinner, C. (2021). The evolution and changing ecology of the African hominid oral microbiome. Proceedings of the National Academy of Sciences, 118(20), e2021655118

  • Gibbons, A. (2025, March 19). Neanderthals may have eaten maggots as part of their diet. Science.