Evolution never sTOPS!
In certi casi, forse, è meglio restituire i fossili ai legittimi proprietari
Gestire le collezioni antiche di un museo non è semplice, soprattutto se si tratta di reperti che provengono da altre nazioni o continenti.
MUSEOLOGIA NATURALISTICA
9/16/20254 min leggere
In questo articolo divulgativo pubblicato su Nature, viene posto un quesito interessante riguardante la restituzione dei fossili alle popolazioni locali. Circa 150 anni fa, nell'attuale South Dakota e Wyoming, George Armstrong Custer guidò 1000 truppe accompagnate da geologi e paleontologi con lo scopo di capire dove costruire un forte militare e avviare una sorta di "corsa all'oro". La seconda spedizione fu guidata dal paleontologo Othniel Charles Marsh, che dissotterrò circa 2 tonnellate di fossili e le spedì allo Yale Peabody Museum of Natural History.
Quella apparentemente più innocua fu la spedizione di Marsh, poiché aveva come scopo quello di comprendere meglio la storia della Terra e della vita. Tuttavia, lo stesso Marsh promosse anche l'espropriazione dei nativi americani Lakota, raccogliendo senza permesso una miriade di fossili e utilizzandoli per supportare teorie razziste, con l'intento di legalizzare e giustificare l'espansione imperiale e coloniale degli Stati Uniti. Purtroppo, nell'Ottocento e fino agli anni '40 del Novecento, discipline come la paleontologia e l'antropologia furono utilizzate proprio per giustificare ideologie fasulle, ascientifiche e antievoluzionistiche, che raggiunsero il culmine durante la Seconda guerra mondiale.
Dall'inizio di quest'anno, una legge federale statunitense obbliga i musei americani a richiedere il permesso e a informare i discendenti delle tribù di nativi americani dell'esposizione di reperti umani e culturali legati a queste culture. Gli autori dell'articolo sostengono che una cosa simile può e deve essere fatta anche per le collezioni geologiche e paleontologiche, promuovendo così la collaborazione tra gli abitanti locali e i ricercatori con le diverse istituzioni scientifiche. Gli Stati Uniti riconobbero la sovranità dei Lakota, con una regione che copre l'odierno Dakota del Sud e del Nord, il Montana, il Nebraska e il Wyoming, comprese le Black Hills dove avvennero le spedizioni citate prima, da cui vennero estratti fossili antichi tra i 27 e i 37 milioni di anni fa.
La spedizione di Custer comportò la raccolta di una moltitudine di reperti e risorse minerarie e geologiche, cercando di trarre profitto da queste terre. Marsh, invece, non partecipò alla spedizione di Custer; fu attirato dalle Black Hills, ma questa sua passione per i fossili rese sospettosi gli abitanti locali, che pensavano volesse scavare alla ricerca di oro e invadere queste terre. Nonostante alcuni sotterfugi, Marsh trovò enormi resti di ungulati che chiamò Brontotheriidae. Marsh non fu l'unico scienziato a estrarre conoscenze e materiali di ricerca dalle terre del trattato Lakota, e molti di essi vennero raccolti senza permesso, con i fossili che raggiunsero vari musei. Purtroppo, come detto prima, le scoperte di Marsh contribuirono a sostenere l'espansione imperiale degli Stati Uniti anche in modo più insidioso.
Marsh e colleghi, infatti, pensavano che le estinzioni svolgessero un ruolo nel "progresso evolutivo", creando nicchie ecologiche per linee evolutive più avanzate. Purtroppo, questa idea alimentò il concetto che certe "razze", come quelle degli indiani d'America, fossero destinate a scomparire in favore di "razze più evolute" (gli americani, in quel caso). Questa teoria razzista e ascientifica si basava su fossili estratti illegalmente e giustificò l'espropriazione di quelle stesse terre da cui provenivano i fossili. La cosa strana è che tra Marsh e le popolazioni locali c'era comunque una certa collaborazione; infatti, alcuni ungulati fossili furono chiamati "brontotheres", ispirandosi alle storie Lakota. Inoltre, associavano anche i Wakiŋyaŋ, spiriti simili a uccelli, il cui conflitto con antichi mostri chiamati uŋhcegila è spesso usato dal popolo Lakota per spiegare l'abbondanza di fossili nelle White River Badlands.
I ricercatori sono dell'idea che da qui si possa iniziare a proporre, intrecciare e promuovere collaborazioni con le popolazioni locali, con lo scopo primario di esplorare la provenienza di alcune collezioni di cui si sa poco o che necessitano di uno studio più "storico", magari studiando le corrispondenze tra i vari ricercatori dell'epoca. Una ricerca interdisciplinare gioverebbe sia ai musei che alle università perché renderebbe certe collezioni più accessibili e permetterebbe anche ai ricercatori locali di capire la storia evolutiva dei propri luoghi. Senza dimenticare che una revisione dei fossili, soprattutto con le moderne tecniche di studio, permetterebbe ai fossili stessi di stare al passo con i tempi. Le nostre conoscenze sono in continuo mutamento e dai fossili custoditi nei musei o nei depositi si possono fare grandi scoperte, o comunque sarebbe possibile fare nuove scoperte e ricerche.
I musei sono un collante sociale, permettono di unire persone di ogni cultura e nazione. È anche per questo che, personalmente, mi piacerebbe che ogni centro cittadino possedesse una sorta di "Museo di Storia Naturale Locale". Questo perché sotto ai nostri piedi si nascondono reperti geo-paleontologici, ma anche biologico-naturalistici, che ci permettono di capire il luogo nel quale viviamo. Infatti, l'idea degli autori dello studio è quella di far conoscere anche ai cittadini locali la storia geologica delle Black Hills, con alcuni affioramenti che risalgono addirittura al Precambriano. Quanto sarebbe bello se nei centri in cui vivete organizzassero mostre legate al patrimonio geo-paleontologico locale? Si tratterebbe di una risorsa inclusiva e formativa senza eguali, aperta a tutti.
La mia idea di "Museo di Storia Naturale Locale" si basa anche un po' sulle mie esperienze, in quanto mi è capitato di maneggiare e studiare materiale fossile proveniente da luoghi a me noti, ma completamente sconosciuti ai residenti o alla popolazione locale. Non esistono punti di riferimento, zone di scavo o altro, eppure molti di questi fossili sono conservati nei più disparati musei, anche esteri. Se non si fa informazione, nessuno si interesserà mai a queste tematiche. In modo analogo al "problema" americano, si potrebbero creare intrecci tra il cittadino, curioso di conoscere la storia naturale del luogo in cui vive, un centro di ricerca locale, che possa coinvolgere la cittadinanza e i ricercatori, e le istituzioni scientifiche. Un po' come accade nel famoso sito di Bolca.
E' utopico? E' "esagerato" l'esempio americano?
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