Evolution never sTOPS!
La comparsa degli squali predatori
La comparsa degli squali predatori, così come li conosciamo, sarebbe avvenuta a causa di un cambiamento climatico nel Cretacico
SQUALI: PALEOBIOLOGIA
9/16/20253 min leggere
Una massiccia eruzione vulcanica circa 93 milioni di anni fa comportò un aumento di anidride carbonica e, di conseguenza, un innalzamento delle temperature. Questo cambiamento climatico influì sugli squali, e da questo processo vennero selezionati squali che possedevano pinne più lunghe. Ciò permise a queste fantastiche creature di vivere non solo nei fondali (bentonici o benthopelagici), ma anche in mare aperto (regno pelagico), grazie alle pinne pettorali che consentivano loro di essere più veloci e di inseguire le prede con maggiore efficacia.
Sono state studiate circa 500 specie tra squali viventi e fossili e, grazie anche ai dati odierni, si sa che buona parte degli squali vive sui fondali e solo una piccola percentuale (meno del 15%) sono predatori di mare aperto. Probabilmente, gli antenati dei predatori attuali sono stati costretti a lasciare ambienti come i fondali, soprattutto perché l’aumento delle temperature comportò anche una diminuzione dell’ossigeno in prossimità dei fondali, rendendo difficile la respirazione. Come detto prima, chi casualmente possedeva pinne pettorali lunghe si trovò più avvantaggiato in questa sorta di “migrazione”. Infatti, pinne pettorali più lunghe rendono gli squali più veloci e più efficienti durante i movimenti, riducendo i costi energetici.
Le temperature superficiali dei mari si aggiravano attorno ai 28°C, se non di più, e questo cambiamento avvenne nel corso di 1-2 milioni di anni. Per fare un confronto, le temperature superficiali odierne si aggirano intorno ai 20°C. I Lamniformi (ordine a cui appartiene lo squalo bianco) furono i primi ad espandersi nella zona pelagica e i primi a diversificarsi in mare aperto. I secondi ad espandersi e a diversificarsi furono i Carcharhiniformes (ordine a cui appartiene lo squalo martello). Queste espansioni, indipendenti, hanno portato successivamente alla stragrande maggioranza degli squali odierni pelagici, caratterizzati da pinne pettorali più lunghe e strette rispetto agli squali di fondale. Nei selaci bentonici, infatti, sono presenti pinne pettorali arrotondate e corte, con proporzioni ridotte rispetto al corpo.
Diciamo che le pinne pettorali possono riflettere gli habitat nei quali gli squali vivono, sia a livello morfologico che funzionale. I selaci bentonici o bentopelagici, per esempio, possono riposare sul substrato, mentre quelli pelagici sono obbligati a muoversi costantemente nella colonna d’acqua affinché la stessa circoli più efficacemente, permettendo di ottenere l’ossigeno di cui hanno bisogno. Quest’ultimo punto può essere molto dispendioso a livello energetico, ma una pinna pettorale lunga e stretta può ridurne i costi.
Oltre alle proporzioni più elevate delle pinne pettorali, i ricercatori hanno scoperto che i selaci pelagici tendono ad avere dimensioni maggiori rispetto a quelli bentonici e bentopelagici. Questo perché una maggiore dimensione permette migrazioni a lunga distanza e consente di occupare alti livelli della rete alimentare. Nonostante non sia stata trovata un’associazione tra le proporzioni della pinna e le dimensioni corporee nelle specie campionate, i selaci pelagici più grandi possiedono pinne pettorali più lunghe rispetto a quelli più piccoli. In ambiente pelagico, una dimensione corporea maggiore può essere vantaggiosa per la galleggiabilità, l’efficiente accumulo di energia e la capacità di viaggiare lontano. Indirettamente, ciò permette anche di non avere predatori naturali. Tuttavia, spostare un grosso corpo in acqua è dispendioso a livello energetico, ma la selezione di pinne pettorali più sviluppate dovrebbe quindi permettere una maggiore efficienza energetica.
Considerando che la temperatura ha influenzato l’evoluzione e la diversità degli squali durante altri periodi, è nel Cretacico medio che si ha un punto di svolta “evoluzionistico”, proprio perché era un periodo instabile caratterizzato da eventi anossici negli oceani. Come detto prima, la temperatura superficiale a quel tempo poteva raggiungere anche i 28°C, e ciò ebbe un effetto sulle prestazioni natatorie dei selaci. Infatti, tra gli ectotermi, le temperature più calde in genere portano a un aumento delle prestazioni muscolari. Le specie pelagiche possono nuotare a velocità superiori rispetto a quelle bentoniche già attorno ai 20°C, come testimoniato dagli squali mako e dallo squalo leopardo: i primi possono raggiungere velocità più elevate attorno ai 28°C, mentre i secondi diminuiscono la loro velocità se le acque superficiali aumentano di temperatura. Anche per gli squali del passato si può fare un discorso analogo. Alla fine del Cretacico, le temperature dell’acqua erano elevate, ma ciò non significa che tollerassero le acque tropicali del Tardo Cretacico. Infatti, i fossili dello squalo lamniforme 𝘾𝙖𝙧𝙘𝙖𝙗𝙞𝙤𝙙𝙤𝙣, estinto, erano poco diffusi lungo i tropici, suggerendo che le acque cretaciche ponessero un limite fisiologico su alcune specie.
Pertanto, i ricercatori ipotizzano che un aumento delle temperature delle acque superficiali globali abbia portato a un aumento della velocità di nuoto degli squali a causa dell’aumento delle prestazioni muscolari, che, a sua volta, ha facilitato l'espansione nella zona pelagica. Una volta occupata una nuova zona ecologica, gli individui che avevano pinne pettorali con proporzioni più elevate avevano probabilmente un vantaggio in termini di fitness evolutiva. Tuttavia, l’aumento delle dimensioni delle pinne pettorali non sarebbe legato solo alla temperatura dell’acqua, anche perché gli squali pelagici si sono adattati anche ad acque con temperature superficiali basse. Le pinne pettorali hanno svolto un ruolo importante anche durante la comparsa e la scomparsa delle barriere coralline e nella cattura di prede che continuavano a cambiare nel corso del tempo.
Fonte: Sternes, P. C., Schmitz, L., & Higham, T. E. (2024). The rise of pelagic sharks and adaptive evolution of pectoral fin morphology during the Cretaceous. Current Biology. Elsevier. Available online: 3 June 2024.
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