Evolution never sTOPS!

La locomozione bipede potrebbe non essere legata (in parte) ai contesti arboricoli...

Lo studio dei fossili di 𝙈𝙤𝙧𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 suggerisce che la locomozione bipede si sia evoluta in ambienti più aperti e stagionali, e non esclusivamente nelle foreste, evidenziando l’adattabilità locomotoria degli ominoidi del Miocene.

NOTIZIE EVOLUTIVE SUI PRIMATIINFORMAZIONI SUGLI OMINOIDIANTROPOLOGIA FISICA: ARTI E DIMORFISMO SESSUALE

9/28/20257 min leggere

Quando si parla di evoluzione umana, una delle prime cose a cui pensiamo è sicuramente la locomozione. A causa di fake news, come quella della scala evolutiva, si tende a pensare che il bipedismo sia stato graduale, ma in realtà si tratta di una caratteristica comune a molti primati, soprattutto arboricoli. I primati sono capaci di arrampicarsi ma anche di muoversi sul substrato o tra i rami, sia saltando che camminando. Quindi, pensare che esista una sola e unica locomozione per ogni primate, escludendo casi di adattamenti un po' più estremi, non è assolutamente sbagliato. Certo, se parliamo di Australopithecus, parliamo di bipedismo obbligato, ma anche tante altre specie umane erano capaci di arrampicarsi, come Homo habilis e H. naledi.

In un modo o nell'altro, possiamo dire che l'evoluzione umana è strettamente legata all'ambiente africano, e in genere la teoria (scientifica) più accreditata è quella tradizionale che afferma che gli antenati dei primati, in generale di gorilla, scimpanzé e Homo, sarebbero stati animali tipici di foreste fitte tropicali circa 21 milioni di anni fa. Tuttavia, due ricerche ci raccontano qualcosa di leggermente diverso.

Qui facciamo la conoscenza di Moropithecus, la più antica “scimmia antropomorfa conosciuta”, rinvenuta nell'attuale Uganda, datata circa 21 milioni di anni fa. Nonostante non sia facile trovare resti fossili di primati che vissero in contesti forestali, in questo caso abbiamo trovato una vertebra, una mandibola parziale e un femore. In primo luogo, la colonna vertebrale suggerisce un “dorso rigido” tipico di un primate che si muove in posizione eretta sugli alberi. Inoltre, il femore risulta essere molto robusto ma relativamente corto, tipico di quei primati che si arrampicano sugli alberi (con il busto che si trova in posizione verticale). Sono interessanti anche i denti, che presentano creste taglienti che permettevano a questo primate di mangiare sia foglie che frutti.

Analizzando gli isotopi del carbonio e i paleosuoli, è emerso che questo primate visse in un ambiente aperto e non in una foresta chiusa. Infatti, la significativa presenza di piante C₄ (erbe e specie botaniche perlopiù tropicali) si pensava fosse comparse molto dopo, circa 10 milioni di anni fa. Quest'analisi retrodata la comparsa in queste zone di piante tropicali. Anche l'analisi delle fitoliti, come la silice vegetale fossile, conferma la presenza di ambienti erbosi e boschi radi, boschi con una copertura arborea bassa che permettevano il passaggio della luce fino al suolo.

Questo contrasta un po' con le vecchie ricerche, in quanto si pensava che la locomozione eretta fosse tipica di primati che vissero (e che vivono) nelle foreste, e che una caratteristica simile permettesse di muoversi in modo bilanciato su certi rami e alture, permettendo così di cercare frutti nelle foreste. Invece, la prima traccia di locomozione eretta potrebbe essere associata ad ambienti più aperti. Infatti, Moropithecus possedeva caratteristiche locomotorie da arboricolo, senza vivere in un habitat forestale. La pressione selettiva che avrebbe comportato la selezione di individui capaci di postura eretta non sarebbe legata alla ricerca di frutta, bensì di foglie.

Per dimostrare ciò, sono stati studiati 9 siti tra Kenya e Uganda, con un'età compresa tra i 16 e i 21 milioni di anni, e tutti i siti mostrano una combinazione di vegetazione C₃ (legata a climi temperati) e C₄ (tipica di climi un po' più caldi). Ciò che ne consegue è che gli ambienti erano caratterizzati sia dalla presenza di foreste chiuse che di praterie alberate.

Quindi si può dire che le praterie erbose africane siano comparse prima del previsto, e che l'origine delle cosiddette “scimmie antropomorfe”, così come in parte quella umana, avvenne in ambienti molto più variabili e aperti di quanto si pensasse.

The evolution of hominoid locomotor versatility: Evidence from Moroto, a 21 Ma site in Uganda

Questo studio merita di essere approfondito, in quanto la questione sulla locomozione è cruciale. In assenza di dati, l'ipotesi più accreditata era quella che vedeva la comparsa della locomozione bipede legata a contesti forestali tropicali, che permettevano di nutrirsi dei rami terminali in cerca di frutti. Tuttavia, potrebbe essere necessaria una revisione, in quanto questo studio dimostrerebbe che quest'adattamento non era strettamente legato a uno stile di vita arboricolo, ma caratterizzava un primate che visse in ambienti più aperti, stagionali e dominati da vegetazione resistente allo stress idrico.

Questo studio mette in discussione tale ipotesi, proponendo invece che gli adattamenti locomotori si siano evoluti in ambienti più aperti, stagionali e dominati da vegetazione resistente allo stress idrico.

Sono stati datati in primis i fossili provenienti dal sito Moroto II, in Uganda, che rappresentano la più antica documentazione (al momento) combinata di ossa e denti post-craniali attribuiti a ominoidi e provenienti da una singola località. La specie in questione è Moropithecus bishopi, un ominoide di grandi dimensioni che viene considerato uno dei più antichi ominiidi, con caratteristiche simili a quelle dei gorilla e degli scimpanzé moderni. I risultati sono molto interessanti, in quanto un femore corto e robusto indica una capacità nell'arrampicata verticale, mentre la vertebra lombare “poco mobile” suggerisce un torace ortogrado/retto.

Dal punto di vista isotopico, abbiamo qualche informazione in più sulla dieta. Infatti, i molari si presentano perlopiù allungati con creste sviluppate, tali da sminuzzare le foglie (specializzazione folivora), e proprio gli isotopi ci dicono che questo primate consumasse perlopiù piante C₃ soggette a stress idrico (lo stress idrico si verifica quando l'acqua nel terreno scarseggia), con molta probabilità nutrendosi anche di piante C₄.

In generale, gli isotopi del carbonio sono importanti in quanto indicano un consumo di vegetazione in ambienti aridi, mentre i fitoliti, che sono i residui di silice vegetale, indicano la presenza di graminacee C₄ (ambienti secchi e aperti) e di piante tipiche delle foreste. Senza contare che le condizioni subumide dei paleosuoli indicano una forte stagionalità.

I primi ominoidi, quindi, non vivevano in dense foreste tropicali, ma in ambienti boscosi stagionali, caratterizzati da una copertura discontinua e da sottobosco erboso. Ciò mette comunque in risalto ciò che già sapevamo, cioè quanto siano stati versatili gli ominoidi per quanto riguarda la locomozione. Quindi, una locomozione bipede non deriva da una locomozione, ad esempio, quadrumana, ma più tipologie di locomozioni possono convivere in un certo gruppo. Inoltre, sapersi muovere in diversi contesti ambientali permette una maggiore sopravvivenza. Possiamo anche parlare di una vera e propria specializzazione. Infatti, una locomozione bipede permette di accedere alle foglie più alte nei periodi in cui scarseggiano i frutti, ed è possibile spostarsi su alberi isolati e non connessi da una “chioma” continua. Alcuni tratti anatomici sono condivisi dalle grandi scimmie moderne, come per esempio la postura eretta, e di conseguenza questa tipologia di locomozione è stata selezionata da un ambiente caratterizzato da habitat aperti. Una vera e propria pressione evolutiva che ha selezionato individui (già) capaci di muoversi su due gambe/zampe.

Ma come è stato possibile capire le condizioni ambientali di quel tempo? Tutto ciò è avvenuto in primis con lo studio dei fossili, associati a facies fluviali e alcune di facies lacustri. In generale, possiamo dire che i fossili rappresentano dei cumuli “temporali” provenienti da ambienti aperti e non sono stati accumulati da altri animali. I fossili sono stati esposti frequentemente alla luce solare e sono stati ciclicamente “bagnati” e asciugati, il che suggerisce ulteriormente un ambiente più aperto. Inoltre, è stato possibile svolgere uno studio un po' più “cronologico”, in quanto il monte Moroto fa parte di un complesso vulcanico che ha permesso di studiare una decina di campioni di basalto, datandoli attraverso il metodo 40Ar/39Ar, arrivando così a un'età di 20.950 ± 0.046 Ma per le colate laviche. Il margine d'errore è davvero basso. Inoltre, grazie alla Polarità Geomagnetica (GPTS), la durata di deposizione del sito di Moroto II è stimata in 365 ± 36.9 mila anni, un intervallo di tempo relativamente breve a livello sedimentologico. Ma la datazione è stata aiutata grazie all'assemblaggio faunistico di Moroto II, in quanto è proprio grazie all'assenza di alcuni taxa del Miocene Medio, come suidi, tragulidi e perissodattili, che si riesce a capire che il sito è più antico di 20 milioni di anni, così come la presenza di specifici mammiferi, come Eozygodon.

Ora passiamo all'anatomia di alcuni dei reperti attribuiti a Moropithecus. Il femore, come detto prima, è corto e robusto, simile a quello delle grandi scimmie antropomorfe viventi, ma diverso da quello di altri ominoidi miocenici di grandi dimensioni. Il femore, di per sé, è coerente con la massa corporea che doveva aggirarsi attorno ai 35 kg, suggerendo quindi la capacità di arrampicata simile a quella delle grandi scimmie, e non come quello dei gibboni, che si spostano principalmente per brachiazione (oscillando da un albero all'altro usando gli arti superiori). È proprio il rinforzo corticale del femore a distinguerli dai gibboni, in quanto è molto simile a quello di Pongo, degli oranghi, ed è legato al carico assiale e all'arrampicata verticale.

Il femore, in sostanza, presenta una larghezza bicondilare relativamente sviluppata e, insieme ad altre caratteristiche, indica una capacità di rotazione e abduzione degli arti inferiori. Inoltre, la forma della testa del femore e le proporzioni suggeriscono una moderata mobilità dell'anca, che è coerente con l'arrampicata verticale e una locomozione mista.

Anche la vertebra lombare fornisce alcune informazioni interessanti. Infatti, condivide caratteristiche anatomiche con gli ominoidi, assenti invece nei cercopitecoidi. I processi trasversali emergono dalla base di pedicelli robusti e sono orientati dorsalmente, e ciò permette di aumentare la leva dei muscoli iliocostali e del cosiddetto “muscolo lunghissimo” (longissimus dorsi), permettendo così una certa resistenza alle flessioni ventrali. Sono assenti le anapofisi, che sono tipiche dei catarrhini con la coda, oltre a possedere una ridotta carena ventrale e un processo spinoso inclinato caudalmente, collegato alla ridotta mobilità dorsoventrale. Sono presenti dei fori legamentosi posizionati medialmente rispetto ai postzigapofisi, e ciò suggerisce la presenza di legami robusti che limitano la ventroflessione e stabilizzano le vertebre lombari. In sostanza, queste caratteristiche indicano un adattamento al mantenimento dell'ortogradia e alla stabilizzazione della colonna vertebrale a livello lombare, a differenza di altre vertebre, come quelle di Ekembo (un primate vissuto circa 17-20 milioni di anni fa), che presenta vertebre lombari legate invece a una maggiore flessione ed estensione della colonna vertebrale durante la locomozione quadrupede.

La particolarità è che nel sito in cui è stato trovato Moropithecus sono presenti altri fossili attribuiti a catarrhini più piccoli, come proconsulidi, alcuni Aff. Rangwapithecus e una Non-cercopithecoid catarrhine di piccola taglia. È interessante il molare inferiore di Rangwapithecus, in quanto si tratta del primo record di questo genere fuori dalla Kenya, e il più antico conosciuto, che possedeva una dieta folivora. I valori δ¹³C, inoltre, suggeriscono nicchie alimentari e habitat distinti rispetto agli ominini odierni. I valori δ¹⁸O degli smalti dentali di Moropithecus sono arricchiti rispetto agli altri catarrhini, suggerendo che Moropithecus si alimentasse nella parte superiore o periferica della chioma, dove la vegetazione era più stressata dall’acqua.

Fonti:

  • Laura M. MacLatchy et al. ,The evolution of hominoid locomotor versatility: Evidence from Moroto, a 21 Ma site in Uganda.Science380,eabq2835(2023);

  • Daniel J. Peppe et al. ,Oldest evidence of abundant C4 grasses and habitat heterogeneity in eastern Africa.Science380,173-177(2023).