Evolution never sTOPS!
Le proteine? No, il grasso animale ha giocato un ruolo importante nell’evoluzione umana
A volte pensiamo che solo le proteine abbiano giocato un ruolo importante nell'evoluzione umana. Eppure, ci sono dei dettagli che vengono spesso sottovalutati.
IL GENERE 𝙃𝙤𝙢𝙤LA COSTRUZIONE DI NICCHIA
9/16/20258 min leggere
Il grasso e le proteine, come ben sapete, hanno giocato un ruolo fondamentale nel Pleistocene, un periodo di tempo in cui i cambiamenti climatici hanno messo a dura prova gli esseri umani e molte altre specie, sia animali che vegetali. Questo ha comportato, sia direttamente che indirettamente, preferenze di caccia che hanno influenzato la megafauna del Pleistocene.
Già lo scorso anno era uscito un articolo che mostrava come la presenza di animali di piccola taglia abbia influenzato l’uomo, sia dal punto di vista biologico che culturale. Soprattutto dal punto di vista culturale, perché questa pressione selettiva (la dimensione ridotta delle prede) ha favorito la selezione di individui umani capaci di fabbricare armi specializzate nella caccia alle piccole prede. Una pressione selettiva scaturita da un’altra pressione evolutiva, quella del fabbisogno di proteine, che ha portato l’uomo a cacciare bestie grandi e… grasse. Va detto, però, che l’estinzione della megafauna non è dipesa solo dalla caccia dell’uomo, ma possiamo dire che ha contribuito significativamente a ciò.
Questo lavoro è importante perché si basa sulla teoria della costruzione di nicchia, una recente branca dell’evoluzione umana e dell’ecologia che mostra come l’ambiente e le specie (incluse altre specie) si influenzano a vicenda, e non è un processo unidirezionale. Infatti, l’uomo ha influenzato le specie giganti e grasse, l’ambiente ha dato la batosta finale a queste grandi specie, e a sua volta la riduzione di taglia ha influenzato l’evoluzione biologica, fisiologica e culturale dell’uomo.
Nelle fasi finali del Pleistocene, l’uomo ha preso di mira specie grasse perché, in quel periodo, soprattutto nelle zone fredde e povere di specie vegetali o di altri organismi facilmente reperibili, la carne riusciva a sostenere le popolazioni umane. Si è trattato di uno sfruttamento selettivo perché l’uomo prediligeva le prede più grosse, anche perché cacciare un animale era sinonimo di dispendio di risorse ed energie. Le specie cacciate sono risultate le più vulnerabili al declino e, se non si sono estinte a causa dell’uomo, la natura e i cambiamenti climatici hanno dato il colpo di grazia (ma anche viceversa).
Vediamo brevemente ciò che hanno evidenziato altri studi:
1 milione di anni fa, nell’Africa meridionale, è stata notata una diminuzione della ricchezza delle specie di grandi pascolatori, nonostante le piante C4 fossero abbondanti a quel tempo;
125 mila anni fa, si nota che la massa corporea dei mammiferi terrestri si ridusse di circa la metà rispetto agli altri continenti;
in Africa meridionale si assiste al declino di prede molto grandi (> 950 kg) nel Pleistocene medio, con un aumento significativo di prede più piccole, e non sembra essere correlato ai cambiamenti climatici;
altri studi dimostrano che il declino di mega-erbivori sembra coincidere con il passaggio al Paleolitico medio (circa 300.000 anni fa).
Si parte dal presupposto che l’uomo sia diventato dipendente dal consumo di grasso animale e che ciò abbia comportato la caccia mirata a prede di grandi dimensioni e ricche di grasso. Pertanto, gli adulti erano quelli più presi di mira, destabilizzando le popolazioni delle specie attaccate, esponendole così a una moltitudine di rischi come l’estinzione o un declino dal punto di vista demografico. Bisogna comunque considerare che la caccia di grossi adulti comporta un grande dispendio di energie, soprattutto durante il trasporto della preda. Per esempio, è molto dispendioso trasportarla durante le stagioni secche e nevose, stagioni nelle quali gli animali risultavano più vulnerabili, mentre il consumo da parte di altri predatori animali avveniva maggiormente nei periodi di abbondanza delle prede.
La prima questione è che, a differenza di altri predatori, l’uomo è caratterizzato da una limitata capacità di metabolizzare le proteine in energia (35-45%), limitata dalla capacità del fegato di sintetizzare il sottoprodotto dell’azoto in urea, e dalla capacità dei reni di eliminare l’urea. Quindi, gli esseri umani devono ottenere circa il 55-65% delle loro calorie da fonti non proteiche, come carboidrati, vegetali e, appunto, grassi animali. Secondo alcuni calcoli, il ritorno energetico derivato dalla caccia è circa 10 volte maggiore rispetto a quello delle piante raccolte (non processate, quello è un altro discorso perché ha in parte sostituito la caccia ai grossi animali), questo perché il contenuto di grasso nella preda rappresenta circa il 30-50% delle calorie.
Vediamo in sequenza quali erano le procedure:
La caccia delle prede di grandi dimensioni.
La caccia soprattutto degli individui adulti.
Trasporto selettivo di parti grasse del corpo ad alto costo energetico.
Estrazione del grasso dalle ossa ad alto costo energetico.
Sfruttamento e preservazione sistematica delle ossa ricche di midollo.
Questa è una condizione che si riscontra anche in alcune popolazioni attuali, considerate "paleolitiche" per via del loro stile di vita. Pertanto, questa tipologia di sussistenza, simile a quella presa in esame, indica che sia le società pre-agricole sia queste moderne siano state guidate da comportamenti "umani" come la condivisione, l’autoapprovvigionamento, l’egualitarismo, ecc. Insomma, indipendentemente dalle condizioni climatiche, l’uomo ha sempre cercato di ricavare alimenti ad alto contenuto di grasso (la carne rossa, per intenderci). In queste popolazioni il grasso viene spalmato sui muri delle abitazioni o dei luoghi sacri come se fosse un dono per le entità spirituali, oppure gli strumenti vengono unti con il grasso in modo propiziatorio. Quindi, il grasso è associato alla vita, ed è stato anche documentato che molti cacciatori abbandonano la preda se povera di grassi. Più che le proteine, sono i grassi che guidano il desiderio di carne nelle società di cacciatori-raccoglitori.
Sin dal Pleistocene, l’uomo è stato cacciatore sia di grossi ungulati che di piccole prede, che comunque davano il loro contributo, seppur marginale, in termini di grasso. Questo perché un animale di grandi dimensioni contiene una percentuale di grasso superiore a quella di animali di piccole dimensioni, soprattutto perché quelli grandi riescono a mantenere un livello di grasso sostanzialmente stabile in ogni momento dell’anno. Pertanto, risultano e sono risultati una fonte di cibo sempre accessibile, soprattutto quando la disponibilità di cibo vegetale scarseggiava o era assente.
Durante la caccia nel Pleistocene, gli umani preferivano grosse prede con una taglia variabile tra gli 85 e i 950 kg circa, come per esempio i bisonti, e si concentravano sugli adulti (sia maschi che femmine). Questo perché gli adulti non anziani non erano solitamente cacciati da altri predatori animali. Pertanto, l’uomo si specializzò nella caccia agli adulti, ma ciò non significa che fosse una passeggiata: comportava costi energetici elevati e un’organizzazione senza eguali. Significava anche rinunciare agli individui giovani o a quelli più anziani (i più “facili” da catturare) e richiedeva una forma fisica eccellente, dato che una specializzazione del genere doveva in qualche modo risultare vantaggiosa in termini di fitness. Va detto che l’uomo non buttava via nulla e da questi grandi animali prelevava anche pelli e corna, ma il grasso era lo scopo primario della caccia.
Perché cacciare animali grossi e grassi, soprattutto adulti? Gli adulti tendono a mantenere stabile la quantità di grasso corporeo, molto di più rispetto agli individui immaturi e giovani, perché investono quel grasso nella crescita piuttosto che in riserve. Maschi e femmine accumulano grasso in modo diverso, e lo stesso fluttua anche in base alle stagioni. Per esempio, i maschi accumulano il grasso durante i periodi di calma (quando non si accoppiano), mentre le femmine lo accumulano quando si preparano alla gravidanza e all’allattamento. Quindi, la selezione verteva sia sui maschi che sulle femmine, indipendentemente dal sesso e a seconda della strategia di caccia e della stagione.
Una volta cacciate le prede, il problema più grande era il trasporto delle parti grasse della preda. Questo variava da preda a preda: per esempio, nel caso del bisonte maschio, venivano sfruttate preferenzialmente alcune parti del corpo, mentre le parti femminili non sfruttate venivano lasciate sul luogo di macellazione. Questo perché il contenuto di grassi varia in base alla parte del corpo, quindi il trasporto sistematico avveniva per le parti ricche di grasso e midollo adiposo. Per esempio, poteva valere il trasporto delle teste dei proboscidati, che avevano un alto contenuto di grassi rispetto alle componenti "centrali".
Questa assidua caccia agli adulti delle specie di grandi dimensioni ha comportato, nel corso del tempo, la selezione di specie con taglie inferiori o di animali di piccole taglie. Questo sembra andare contro ciò che è accaduto negli ultimi 60 milioni di anni, cioè un aumento del peso corporeo medio (trend evolutivo), tendenza che è cambiata negli ultimi 2,5 milioni di anni. È probabile che il genere Homo abbia contribuito nelle fasi iniziali di questo declino (non è detto che sia colpa “nostra”). Già a quel tempo, la quantità di cibo ad alto contenuto di grassi disponibile era elevata e, in un certo qual modo, la predazione da parte dell’uomo avrebbe permesso una sorta di turnover faunistico in Africa tra i 500.000 e i 300.000 anni fa, con le specie erbivore più piccole che hanno sostituito le specie più grandi. La grossa stazza ha giocato un ruolo fondamentale per la sopravvivenza di queste specie rispetto a quelle di piccole dimensioni, ma si è rivelata uno svantaggio quando hanno iniziato a essere cacciate.
A livello ecologico, gli esseri umani sono stati gli unici nel regno animale ad attaccare gli adulti ancora sani e fertili, a differenza degli altri predatori che si concentrano sugli anziani o sui giovani, perché consentono di consumare meno energia durante la caccia. Ciò ha comportato una riduzione negli eventi riproduttivi e un abbassamento della diversità genetica nelle specie cacciate. È probabile che questi animali venissero cacciati durante il periodo riproduttivo. Sempre rimanendo in tema di comparazioni con altri carnivori, l’uomo selezionava le parti più ricche di grasso rispetto agli altri predatori che sfruttavano (e sfruttano) solo una parte delle prede, lasciando il resto agli animali saprofagi e necrofagi. Ciò comunque dipendeva dalla presenza o meno di vegetali: se le calorie fornite dalle proteine non erano sufficienti, si integrava con alimenti non proteici, come i grassi e i carboidrati. Se il cibo vegetale era sufficientemente disponibile a livello calorico, si prelevava dalla preda solo ciò che era necessario senza esagerare; si utilizzavano più risorse dalle prede quando i vegetali scarseggiavano.
Come anticipato prima, ciò rientra nella teoria della costruzione di nicchia, dove sia l’ambiente che gli umani si influenzano a vicenda: gli ecosistemi hanno influenzato l’uomo, l’uomo ha influenzato la taglia delle prede, la diminuzione di prede di grosse dimensioni (influenzata anche dall’ambiente) e l’aumento di quelle piccole hanno influenzato l’uomo a livello culturale e sociale. 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨 era caratterizzata da una dieta ipercarnivora perché prediligeva specie grandi e ricche di grasso per limitare la loro capacità di metabolizzare le proteine. Man mano si è verificato il declino degli animali “grossi”, mentre quelli di piccola taglia hanno comportato la selezione di umani capaci di costruire armi adatte a catturare prede piccole e veloci. Insomma, solo uomini dotati di capacità cognitive complesse e con un’ampia capacità linguistica ed organizzativa (dal punto di vista sociale) hanno potuto capire come addomesticare le prede, comportando, in tempi successivi, la comparsa dell’agricoltura. Il tutto, quindi, sarebbe legato alla diminuzione delle prede più grandi.
Con 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙝𝙖𝙗𝙞𝙡𝙞𝙨, o meglio con le australopitecine, sembra aver avuto inizio la “nicchia umana”, legata all’utilizzo regolare di strumenti in pietra che ha permesso di consumare una quantità significativa di carne e grasso, soprattutto grazie al consumo di midollo osseo. Con 𝙃. 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨 la nicchia si amplia perché vengono incluse prede più grandi, e l’uomo diventa un predatore all’apice della catena alimentare. Nonostante la riduzione di individui di grossa taglia fosse già iniziata qualche tempo prima dell’intensificazione delle attività umane in Africa orientale, la velocità con cui è diminuito il loro numero aumenta vertiginosamente con l’uomo che cerca di sfruttare al meglio la sua nicchia, o di estenderla includendo anche prede più piccole con lo sviluppo di tecnologie atte alla cattura di prede piccole ed agili. Ciò però doveva anche comprendere la capacità di saper tracciare le prede, di poter comunicare (linguaggio) in modo tale da scambiare velocemente informazioni (soprattutto per quanto riguardava la localizzazione delle prede), di raccogliere più velocemente le informazioni sugli animali e sul loro comportamento, ecc.
Questa associazione tra inter-nicchie, per quanto riguarda l’uomo, ha coinvolto la sfera fisiologica (sono stati selezionati individui con un volume del cervello maggiore rispetto ai primi sapiens), la sfera culturale (es. con la costruzione di armi da lancio e a distanza, come le frecce, con un declino degli strumenti in pietra), e la sfera etologica (intensificazione dell’utilizzo delle risorse). L’interazione tra queste sfere, o nicchie, è stata poi “sconvolta” proprio con la comparsa dell’agricoltura, che ha permesso di sfruttare risorse che non necessitavano più della caccia. Quindi, a ridosso dell’estinzione della megafauna, è apparsa l’agricoltura vera e propria.
Fonte: Miki Ben-Dor, Ran Barkai, A matter of fat: Hunting preferences affected Pleistocene megafaunal extinctions and human evolution, Quaternary Science Reviews, Volume 331, 2024, 108660, ISSN 0277-3791.
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