Evolution never sTOPS!
L’importanza della penisola arabica per l’evoluzione umana e dei mammiferi
La penisola è sempre stata considerata come una zona di "passaggio", ma già da diverso tempo molti ricercatori pensano che abbia svolto un ruolo molto importante grazie all'alternanza di periodi umidi.
𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙨𝙖𝙥𝙞𝙚𝙣𝙨: OUT OF AFRICAIL GENERE 𝙃𝙤𝙢𝙤PALEOBIOGEOGRAFIA: NOTIZIE ED INFORMAZIONI
11/3/20255 min leggere
Un po’ tutti, quando chiedi di immaginare il complesso naturale della penisola arabica, sicuramente risponderebbero: “si tratta di una zona arida, ricca di deserti, e in parte anche desertica”. Hanno ragione, ma solo in parte, perché la penisola arabica è parte di una catena continua di deserti che forma una barriera biogeografica tra Africa ed Eurasia, e queste barriere influenzano la distribuzione delle specie e la struttura dei biomi (Afrotropicale, Paleartico, Indomalese).
Ma esistono evidenze fossili come coccodrilli, ippopotami, equidi, proboscidati che suggeriscono la presenza episodica di fauna dipendente dall’acqua nel deserto durante il tardo Miocene e il Pleistocene (senza contare che è stata importante per la migrazione di specie umane, soprattutto per Homo sapiens, ma questa è un’altra storia). L’obiettivo della ricerca, infatti, è stato quello di ricostruire in parte la storia di questi “periodi umidi” nella penisola arabica negli ultimi 8 milioni di anni circa tramite gli speleotemi, cioè depositi minerali (come stalattiti e stalagmiti) che si formano nelle grotte per precipitazione di minerali disciolti nell’acqua. In questa maniera è stato possibile comprendere alcune dinamiche sulla dispersione dei mammiferi e dei primi ominini negli ultimi 8 milioni di anni circa.
Incominciamo dal tardo Miocene. Ci troviamo a circa 11–5,3 milioni di anni fa, e nella penisola si incomincia a osservare un’aridizzazione a livello globale; ciò ha permesso l’espansione dei deserti sia in contesti subtropicali che tropicali. Nella transizione Pliocene–Pleistocene, circa 2,6 milioni di anni fa, quest’aridità accelerò (a livello geologico, si intende) e aumentarono anche i primi cicli glaciali e interglaciali che in qualche modo conosciamo bene.
Come è stato possibile scoprire ciò? La prima firma l’abbiamo grazie alle piante: infatti, a livello globale (ma anche locale, quando si vuole studiare un ambiente), si osserva una prevalenza di piante C3, cioè di foreste e di erbe che crescono in contesti ombrosi, per poi passare a piante C4, cioè ambienti caratterizzati da praterie aride e specie vegetali adattate a contesti di siccità. Questo ha comportato anche una riduzione di CO₂. Si hanno inoltre altre evidenze di periodi umidi fino a circa 1,1 milioni di anni fa, sia a sud dell’Arabia che nel Levante, corridoi utilizzati soprattutto dagli ominini.
Come è stata svolta la ricerca? Innanzitutto sono stati raccolti 22 speleotemi da 7 caverne nella Arabia centrale, e per le datazioni è stata utilizzata una combinazione di serie isotopiche U–Th e U–Pb per poter coprire un range temporale di circa 8 milioni di anni. Naturalmente dobbiamo fare una precisazione a livello isotopico: gli isotopi δ¹⁸O nelle calciti permettono di capire l’umidità a livello ambientale e la storia delle falde acquifere. L’isotopo δ¹⁸O, assieme al δ²H nelle inclusioni fluide, permette di identificare le fonti di umidità, per esempio da quali venti derivano.
Questa, diciamo, è la cronostoria che i ricercatori sono riusciti a ricostruire:
Nel tardo Miocene, tra 7,4 – 6,2 milioni di anni fa circa, sono registrate le prime prove di umidità.
All’inizio del Pliocene, circa 4,1 – 3,1 milioni di anni fa, sono stati registrati altri episodi di umidità, così come sempre nell’early Pleistocene, circa 2,2 – 2 milioni di anni fa e 1,3 – 0,8 milioni di anni fa.
Dopo il MIS 7, cioè Marine Isotope Stage 7, un periodo interglaciale compreso tra circa 244.000 e 191.000 anni fa, caratterizzato da clima relativamente caldo e fluttuazioni intermedie tra fasi glaciali, si hanno precipitazioni più basse e la formazione prevalente di gesso. Ciò indica quindi un’umidità locale e limitata.
Ma quali erano le fonti dell’umidità? Come indicato dagli isotopi δ¹⁸O e δ²H (fluid inclusion), l’umidità era dovuta ai monsoni meridionali, oltre a un piccolo contributo dei venti nord-occidentali. Ma in generale si assiste a una riduzione sempre più progressiva dei monsoni durante gli ultimi 8 milioni di anni, sia negli episodi umidi sia nei periodi interglaciali.
È stato anche possibile capire l’intensità dell’aridità, correlata per esempio al gradiente SST tra il Nord Atlantico e il Mar Arabico, cioè la differenza di temperatura superficiale del mare tra queste due aree, oltre che all’espansione dei ghiacci polari nell’emisfero nord e alla concentrazione delle celle di Hadley. Quest’ultimo fenomeno significa che, quando queste celle (grandi correnti d’aria che trasportano calore dai tropici verso le latitudini subtropicali) si contraggono, l’aria calda che normalmente salirebbe e poi scenderebbe più lontano, ricade prima e più vicino all’equatore.
Questa discesa d’aria (chiamata subsidenza) riscalda e secca l’atmosfera, riducendo la formazione di nuvole e piogge. Il risultato è un aumento dell’aridità nelle zone dove l’aria scende, spesso proprio dove si trovano i grandi deserti subtropicali.
A prova di ciò, c’è anche la polvere sahariana, che è aumentata da circa 2,3 Ma ed è correlata a fenomeni glaciali, maggiore aridità e minore vegetazione.
Ora entriamo nel vivo dal punto di vista biologico e biogeografico. Dall’Arabia centrale si osserva un corridoio di dispersione tra Africa ed Eurasia durante le fasi umide. Per esempio, la Baynunah Formation (circa 7,7–7,0 Ma) è ricca di fauna acquatica come coccodrilli, ippopotami, proboscidati, bovidi, equidi, giraffidi, e mostra una mescolanza faunistica afrotropicale-indomalese. Nel Pliocene, però, c’è stata una ridotta connettività a livello latitudinale, assistendo così alla frammentazione dei biomi Old World savannah, cioè quelli di origine africana, asiatica e in parte oceanica, caratterizzati da ampie distese erbose con alberi sparsi, clima stagionalmente secco e presenza di grandi erbivori e predatori. Nel Pleistocene, invece, si assiste a un’umidità inferiore ma una dispersione faunistica tra mammiferi africani e asiatici è stata comunque possibile.
In generale, questi episodi di umidità hanno guidato la dispersione di mammiferi e ominini tra Eurasia e Africa, e l’Arabia è stata un vero e proprio crocevia biogeografico, soprattutto nel periodo in cui non era completamente arida, fino al Pleistocene medio.
Di conseguenza, certi periodi umidi hanno favorito anche il passaggio degli esseri umani, o comunque degli ominini, fuori dall’Africa. Come testimoniato anche da un lavoro del 2015, la penisola arabica ha giocato un ruolo fondamentale nella storia evolutiva dell’uomo e non deve essere vista solo come una zona di passaggio, ma come una vera e propria area in cui potrebbero essersi verificati processi importanti come insediamenti, anche di lunga durata. Questo avrebbe potuto permettere, anche casualmente, di acquisire certi adattamenti ambientali e culturali e portare a dispersioni successive.
Il contributo del clima è stato quindi fondamentale, poiché quando l’ambiente era più umido, la regione era meno arida rispetto a oggi: infatti era ricca di laghi, fiumi e savane al posto dei deserti attuali. Proprio l’aumento temporaneo delle risorse d’acqua e vegetazione avrebbe potuto facilitare la migrazione o l’espansione umana nella penisola e oltre.
I ricercatori quindi suggeriscono che condizioni ambientali “favorevoli”, come umidità e corsi d’acqua, potrebbero corrispondere a finestre temporali in cui le popolazioni umane si sono mosse o hanno occupato nuove aree. Di conseguenza, la penisola arabica è posizionata al crocevia tra Africa e Asia, collegando la regione nord-est dell’Africa e il Sinai a nord-ovest, le valli di Giordania e Iraq a nord e l’altopiano iranico a nord-est.
Studi sul DNA mitocondriale indicano che popolazioni umane erano presenti nella penisola arabica da almeno 60.000 anni fa, ma anche altri dati idrologici, come quelli relativi all’Iran (successivi a questo), confermano quanto scritto e descritto fino ad ora.
Fonti:
Markowska, M., Vonhof, H.B., Groucutt, H.S. et al. Recurrent humid phases in Arabia over the past 8 million years. Nature 640, 954–961 (2025).
Petraglia, M. D., Parton, A., Groucutt, H. S., & Alsharekh, A. (2015). Green Arabia: Human prehistory at the Crossroads of Continents. Quaternary International, 382, 1‑7.
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