Evolution never sTOPS!

a couple of people that are running down a hill

L'uomo è nato per correre?

E' una domanda molto particolare perché la corsa sostenuta, come quella di un maratoneta, è una caratteristica (quasi) unica del nostro genere.

ANTROPOLOGIA FISICA: GLI ARTI INFERIORI

9/13/20255 min leggere

L'uomo è nato per correre? No, non proprio, ed una domanda come questa è molto antropocentrica e anche antievoluzionistica perché nessun animale "nasce con uno scopo". Tuttavia, possono comparire nel corso del tempo mutazioni o cambiamenti (sia biologici che culturali) che possono permettere alle specie di specializzarsi, come nel caso proprio degli ominini.

Esistono una miriade di studi che confermano che l'uomo (come le australopitecine) è in grado di percorrere lunghe distanze, proprio come un maratoneta, permettendo di inseguire e abbattere la selvaggina con lance o altri strumenti. Insomma, l'uomo è in grado di "stalkerizzare" gli animali grazie alle proprie gambe. La caccia di alci, antilopi e anche di canguri in Australia, negli ultimi 500 anni, ha registrato quasi 400 casi di attività e tecniche basate sulla resistenza con lo scopo di seguire fino allo sfinimento le prede.

Insomma, sembrerebbe che le pressioni selettive negli ultimi 2 milioni di anni abbiano portato alla selezione di ominini capaci di percorrere lunghe distanze. Non saremo dotati di uno scatto come quello dei felidi, capace di raggiungere velocità elevate in pochi secondi, ma proprio la capacità di percorrere lunghe distanze ha permesso agli ominini, in generale, di fuggire dai predatori africani nella savana. Grazie a questa caratteristica biologico-anatomica, gli esseri umani sono riusciti ad affinare tecniche di caccia molto diverse.

In primis erano favoriti individui capaci di percorrere lunghe distanze, permettendo loro di sfuggire ai predatori. Successivamente, affinando tecniche prettamente culturali, la situazione si è capovolta. Sono stati poi selezionati individui caratterizzati da una grande plasticità del piede, da fibre muscolari a contrazione lenta, da una pelle nuda che permette di disperdere il calore e dalla capacità di sudare. Il problema è che i costi energetici durante la corsa sarebbero molto alti rispetto alla camminata sostenuta. Infatti, i ricercatori hanno studiato le metodologie di caccia in più di 8000 testi redatti da missionari ed esploratori, e ciò che è saltato all'occhio è che la tecnica più diffusa è stata quella delle corse sulle lunghe distanze basate sulla "resistenza fisica".

Anche in età moderna, sono arrivati a noi circa 391 resoconti di attività di resistenza in tutto il mondo. Per esempio, tra le quasi 150 società di nativi americani nel Nord America occidentale, circa l'81% ha preferito una caccia persistente. È una tecnica efficace che si è affinata nel corso del tempo, e alcune volte correre è più efficiente rispetto al silenzioso inseguimento di una preda. Correre, però, consuma molte energie rispetto a una camminata, ma se questa tecnica ha successo permette di risparmiare tempo (ed energie).

Viene fatto l'esempio della caccia al gemsbok, un'antilope dell'Africa meridionale. È stato calcolato che per inseguire questa preda, con un passo sostenuto, servirebbero circa 2 ore e un percorso di circa 8 km prima di catturarla; nel caso si decidesse di correre a circa 10 km/h, il cacciatore porterebbe allo sfinimento la preda in poco meno di mezz'ora. Questo dipende anche dalla tipologia di preda, cioè una preda veloce può portare gli esseri umani ad affidarsi alla capacità di correre a un ritmo costante e di mantenersi "freschi" sudando.

Ci sono anche altri punti interessanti da considerare:

  • Con l'aiuto di un abile segugio, sia da parte di umani che da parte di animali dopo la domesticazione, come nel caso dei cani da caccia, si costringe la preda a correre più velocemente portandola all'esaurimento e intrappolandola o finendola con un colpo di grazia.

  • Alcuni terreni, come quelli rocciosi o sabbiosi, possono svantaggiare la preda durante la corsa. Se la preda è veloce, rimarrà impantanata o ridurrà il ritmo della corsa, e l'uomo avrà il tempo di "camminare" e raggiungerla. La caccia a corsa lenta e sostenuta può durare anche giorni, come accade per i cacciatori sudanesi che possono inseguire le giraffe per un'intera giornata, o i cacciatori Ojibwe che possono utilizzare racchette da neve per inseguire alci. Questi ultimi, affondando gli arti nella neve, si stancano e non sono in grado di correre molto velocemente.

In generale, i risultati confermano che la caccia persistente era rara e faceva parte di una sorta di "arsenale" da utilizzare in base alle esigenze e alle condizioni climatico-ambientali. Si poteva correre velocemente, a passo sostenuto, cacciare con le trappole o in collettività, o comunque utilizzare un'abilità quando necessario.

Piccolo approfondimento dal punto di vista biologico

Anche se del 2004, una ricerca mostra le qualità fisiologiche e biologiche dell'uomo rispetto ad altri animali. Infatti, come detto prima, l'uomo è un animale resistente sulle lunghe distanze. Apparentemente, l'uomo, uno slanciato bipede, sembra svantaggiato rispetto ai grandi animali quadrupedi dotati di scatto fulmineo. Attorno ai due milioni di anni, con la comparsa del genere 𝙃𝙤𝙢𝙤, sono avvenuti alcuni cambiamenti che hanno permesso all'uomo di essere competitivo nel percorrere a piedi lunghe distanze.

Le gambe sono strutture elastiche, resistenti e in grado di sopportare sforzi, ma la particolarità è la presenza del tendine d'Achille. Questo perché nelle grandi scimmie è assente o breve, ed era assente anche nelle australopitecine. Tuttavia, di recente sembra che 𝘼𝙪𝙨𝙩𝙧𝙖𝙡𝙤𝙥𝙞𝙩𝙝𝙚𝙘𝙪𝙨 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 fosse dotata di un tendine abbastanza sviluppato, che permetteva una corsa lenta e sostenuta. Il tallone si poggia su una sorta di fossetta ossea, che è direttamente proporzionale alla lunghezza del tendine. Il tendine d'Achille di 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨 era lungo come il nostro, e questo in qualche modo suggerisce che la comparsa della corsa sostenuta potrebbe essere avvenuta almeno 4 milioni di anni fa circa, retrodatando la sua comparsa rispetto a quanto precedentemente ipotizzato con 𝙃𝙤𝙢𝙤 𝙚𝙧𝙚𝙘𝙩𝙪𝙨.

Non consideriamo comunque nessun legame filogenetico, diretto o indiretto che sia, proprio perché non abbiamo altre tracce in altri ominini e quindi non sappiamo se sia un carattere ereditato nel corso del tempo, o se si tratta di convergenza evolutiva. Anche perché, ai tempi di 𝘼. 𝙖𝙛𝙖𝙧𝙚𝙣𝙨𝙞𝙨, le savane incominciavano ad espandersi, ed è probabile che siano stati selezionati individui che possedevano una caratteristica del genere.

Ritorniamo al genere 𝙃𝙤𝙢𝙤. Il tendine d'Achille si è rivelato essere fondamentale sia per la caccia che per la "conquista" di ogni regione del pianeta. I modelli anatomici suggeriscono che l'energia accumulata nel tendine possa aumentare la velocità durante la corsa sostenuta e la marcia di più dell'80%, e possa ridurre di circa il 75% i costi energetici durante lo sforzo fisico. Nei primati africani, infatti, il tendine d'Achille non è molto sviluppato e ciò non permette loro di correre a velocità sostenuta o sulle lunghe distanze. L'uomo è comunque dotato di gambe relativamente robuste e forti, un tronco mobile e robusto e dei glutei muscolosi che, durante la corsa, distribuiscono gli sforzi e i carichi. Diciamo che l'uomo, grazie alle sue fibre muscolari, è predisposto agli sforzi duraturi, a differenza di altri animali che sfruttano un'elevata accelerazione e una notevole velocità solo sulle brevi distanze, permettendo così loro di scappare o di acchiappare le prede.

Un altro fenomeno che gioca a nostro favore è il fatto di non possedere più una peluria funzionale, tanto da sembrare "nudi", e ciò permette una grandissima capacità di dissipare il calore. Al contrario, altre specie sono costrette a fermarsi dopo lo scatto iniziale durante sforzi prolungati, a causa del calore in eccesso prodotto dalla corsa. Diciamo che tutti quegli animali capaci di percorrere lunghe distanze in poco tempo, seppur più veloci dell'uomo, devono ad un certo punto fermarsi per prendere fiato; una volta recuperato, si metteranno di nuovo a correre, per poi fermarsi di nuovo. Se vogliamo, è una sorta di corsa ad intermittenza.

Per esempio, i cani possono correre per circa un quarto d'ora ad una velocità anche doppia rispetto a quella dell'essere umano, ma ad un certo punto devono fermarsi ed ansimare per espellere, attraverso il respiro, il calore accumulatosi. Su una distanza di 40 km la velocità media si ridurrà di circa 4 m/s, a differenza di un maratoneta che in media può raggiungere i 6,5 m/s. Va anche detto che le condizioni climatiche influenzano la dispersione di calore; infatti, gli animali che hanno difficoltà ad espellere il calore sono aiutati dai climi freddi, mentre temperature calde avvantaggiano animali come l'uomo.

È stato notato, ad esempio, che l'uomo è anche capace di gareggiare con i cavalli, e sono documentate molte di queste "sfide" sia in zone con climi freddi che caldi. La vittoria dell'uomo avveniva più frequentemente nelle zone calde, mentre le zone fredde non affaticano il cavallo. Quindi 𝙃𝙤𝙢𝙤 è stato molto avvantaggiato in un contesto come quello della savana; questo perché il caldo cocente sfinisce gli animali, che cercano riparo e un po' di fresco in zone all'ombra, rendendoli vulnerabili all'attacco dell'uomo.

Fonti:

  • Bramble, D., Lieberman, D. Endurance running and the evolution of Homo. Nature 432, 345–352 (2004).

  • Morin, E., Winterhalder, B. Ethnography and ethnohistory support the efficiency of hunting through endurance running in humans. Nat Hum Behav (2024).