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Paletnologia: introduzione

La paletnologia indaga le interazioni tra esseri umani e ambiente nel passato, attraverso l’analisi dei resti materiali conservati nei depositi naturali. Analizziamo i primi concetti!

PALETNOLOGIA: INTRODUZIONE

7/26/202511 min leggere

Come ben sapete, l'evoluzione umana non viene studiata solamente attraverso i resti fossili, ma anche (e soprattutto!) tramite i resti litici, o archeologici, che accompagnano l’uomo e gli ominini da milioni di anni. In questa serie di articoli vedremo un po’ come si è sviluppata la cultura, come si è evoluta parallelamente al contesto biologico, qual era il rapporto dell’uomo con l’ambiente e quali sono le tecniche di scheggiatura. Ne parlerò in linea generale, in quanto non sono un archeologo preistorico (e nel caso dovessi commettere errori, non fatevi problemi a contattarmi).

Per incominciare, possiamo dire che la Paletnologia è una branca dell’archeologia che collabora con una moltitudine di ambiti, al solo scopo di fare un pochino di chiarezza in più sul nostro passato. Diciamo che, arrivati a un certo punto, è un po’ difficile studiare solo i resti fossili, in quanto essi non ci danno (il più delle volte) informazioni sull’economia (sui materiali utilizzati), sulla struttura degli insediamenti e del territorio circostante. Insomma, si amplia il range di conoscenza grazie ai reperti e ai manufatti.

A differenza dell’archeologia classica, il range temporale si estende da 2-3 milioni di anni fa circa fino ai 3000. Il sito archeologico più antico, al momento, è quello di Lomekwi, nel quale sono stati rinvenuti gli utensili in pietra più antichi (circa 3,3 milioni di anni).

Naturalmente, questi reperti sono incredibili, e qui c'è una mia vecchia foto scattata al Museo CosmoCaixa di Barcellona e rappresenta un codolo unifacciale, un chopper datato 2.6 milioni di anni circa (Pliocene), ed è stato rinvenuto nel sud del Marocco. Presenta una scheggiatura relativamente semplice ed ed una struttura relativamente grande. Infatti, i primi manufatti elaborati dagli ominini erano frammenti di roccia scheggiati contro superfici più dure, tipiche del Paleolitico inferiore. Infatti, il trend sarà una riduzione delle dimensioni (e non solo!) degli strumenti litici, già a partire dal Paleolitico Medio.

Sì, lo so che vi sto dicendo un po’ di termini un po’ sconosciuti, ma ci arriveremo man mano. In questo articolo faremo solo un’introduzione sul fantastico mondo dei reperti litici.

Insomma, la cultura archeologica è l’insieme di tutti quei resti litici prodotti da una data popolazione, e il più delle volte vengono influenzati da metodi “personali” di scheggiatura, dal materiale rinvenibile in loco, e tutto ciò ci permette di dare un’identità alla popolazione studiata. Se vogliamo, riusciamo a identificare usi e costumi di un dato gruppo e a capire se lo stesso si è spostato in altri luoghi, se ha influenzato altri gruppi, ecc. Insomma, alcuni materiali ed alcune tecniche sono tipiche di alcune culture, di periodi temporali o di zone geografiche, e possono essere usati come “fossili guida”.

In paleontologia si identifica con “fossile guida” i resti di una data popolazione/specie che aveva un’ampia distribuzione geografica, una rapida evoluzione e una relativa abbondanza, che rende questi fossili rinvenibili in determinate sequenze stratigrafiche, tali da fornire un’elevata precisione a livello temporale (datazione). Insomma, si può fare un ragionamento analogo con i resti archeologici.

Detto ciò, possiamo fare una breve introduzione sui tre periodi preistorici:

  • Il Paleolitico arcaico, nel quale gli ominini incominciano a scheggiare in modo relativamente semplice per creare un lato tagliente (i cosiddetti chopper);

  • Il Paleolitico inferiore, nel quale incominciano ad essere presenti bifacciali o amigdale;

  • Il Paleolitico medio, nel quale incominciano ad essere presenti manufatti più complessi dal punto di vista della scheggiatura;

  • Il Paleolitico superiore, nel quale si hanno le cosiddette “armi da getto” (es. il giavellotto).

Per Mesolitico e Neolitico non mi sbilancio più di tanto, in quanto non è il mio campo, ma posso dirvi in linea di massima che incominciano a comparire strumenti complessi, come per esempio le ceramiche.

I gruppi umani nel Paleolitico erano gruppi nomadi che vivevano di caccia, sfruttavano le risorse naturali e vegetali circostanti e possedevano una dieta variegata (la dieta verrà trattata in articoli appositi). Insomma, si spostavano come tutti gli animali, soprattutto in un periodo caratterizzato da grandi cambiamenti climatici, quindi sostanzialmente si spostavano “seguendo” le risorse. Un discorso a parte va fatto sicuramente per la produzione litica, in quanto permette agli ominini (perlopiù alle specie appartenenti al genere Homo) di svolgere diverse attività che erano impossibili da svolgere a “mani nude” — e questo vale per molti gruppi animali. L’uomo, se vogliamo rimanere in un contesto più filosofico che biologico, ha forse avuto un aiuto in più grazie alla sua capacità astrattiva, o semplicemente perché, per pura casualità, la presenza di un pollice opponibile permette di fare cose non da poco.

Qual è il confine che divide l’uomo dagli altri primati?
O meglio, esiste un confine? Facciamo la conoscenza del “limite Sultan”.

Studiando l’evoluzione umana, si capisce che non siamo tanto diversi da tutti i nostri cugini primati, in quanto condividiamo tante caratteristiche anatomiche e biologiche, come la capacità di maneggiare oggetti. Ma, come ben sappiamo, noi ci distinguiamo per un tratto davvero particolare: sappiamo progettare, oltre a maneggiare.

Arbitrariamente, noi facciamo partire la nostra effettiva storia da Homo habilis, documentato in Africa 2 milioni di anni fa, dove non è nemmeno certo si trattasse di un’unica specie.
La particolarità non sta nei resti ossei fossilizzati che ritroviamo, ma negli oggetti che si trovano con questi resti, relativamente sofisticati, che fanno capire che erano in grado di progettare e realizzare.

Ma gli altri primati sono capaci di progettare, nonostante siano dotati di un’intelligenza straordinaria?

Prima di poter dare una risposta, dobbiamo fare la conoscenza dello psicologo sperimentale Wolfgang Köhler (1887–1967) e del suo scimpanzé preferito, Sultan.
Wolfgang condusse esperimenti comportamentali sugli scimpanzé per vedere come si comportavano davanti a un problema inatteso.

Sultan era molto bravo e dotato quando si trattava di raggiungere una banana appesa in alto, utilizzando qualsiasi oggetto maneggevole nelle vicinanze. Imparò da solo a usare un bastone e, se la banana si trovava ancora più in alto, riusciva a incastrare due bastoni, uno sull’altro, per raggiungerla. Se nelle vicinanze non ha a disposizione un bastone, ma un piccolo tronco pieno di rametti, Sultan spezza i rametti fino a quando non avrà un bastone funzionale.

Cosa succede quando i rami sono molto grossi da non potersi spezzare?

In quel caso Sultan non è in grado di spezzare i rami con le mani. In molte occasioni Köhler gli ha offerto un sasso appuntito con il quale potrebbe farcela, ma Sultan non ci arriva, non concepisce che con un attrezzo può costruirsi un altro attrezzo, non concepisce che con un sasso appuntito potrebbe tranquillamente tagliare via i rametti.

Provò inutilmente a sbarazzarsi dei rametti con le mani, quasi con rabbia, innervosendosi fino a rinunciare alla raccolta della banana.
Il genere Homo lo facciamo “comparire” nel momento in cui questo limite — il Limite Sultan (così battezzato dall’etologo Danilo Mainardi) — viene superato.
La prova sono proprio i resti archeologici associati a Homo habilis, rocce appuntite che vengono scalfite da altre rocce.

Questa “scalfitura” si chiama Industria olduviana in quanto i primi resti archeologici che presentano questa tecnica sono stati trovati nella Gola di Olduvai, in Tanzania. È la tecnica più semplice per scheggiare una pietra con un’altra pietra per renderla appuntita. Nel corso dei seguenti 2 milioni di anni vedremo tante altre tecniche sempre più sofisticate, ma con gli oggetti forgiati da Homo habilis incomincia l’età della pietra e la straordinaria storia dell’uomo, la nostra storia, la storia dei primi primati capaci di progettare.

Questo, però, è un po’ inesatto, soprattutto con molti studi che si sono susseguiti recentemente. In primis, anche molti primati sono in grado di progettare, o meglio di pianificare. Per esempio, lo scimpanzé Santino (di uno zoo svedese), come citato dal neurobiologo Giorgio Vallortigara, era infastidito dai visitatori tanto da lanciare loro dei sassi. Li rubava di notte, li nascondeva, li riprendeva durante la giornata per poi colpire i visitatori. Secondo Vallortigara, si tratta non solo di un’anticipazione, ma di una pianificazione del futuro da parte dello scimpanzé.

In uno studio pubblicato su Nature, nel 2016 (per lo studio, clicca qui), molti primati producono utensili paleolitici. Come detto prima, le “scaglie” di pietra a spigoli vivi, estratte da nuclei più grandi, sono la prova della prima tecnologia in pietra, ma anche le scimmie cappuccine barbute selvatiche (Sapajus libidinosus), in Brasile, rompono deliberatamente le pietre producendo, involontariamente, scaglie e nuclei ricorrenti, fratturati concoidalmente e dai bordi taglienti. Possiedono la stessa morfologia degli strumenti prodotti (volontariamente, forse) dagli antichi ominini del Paleolitico.

Alcuni reperti "paleolitici (Proffitt T. et al., 2016 FOTO) - appesianphylum.com
Alcuni reperti "paleolitici (Proffitt T. et al., 2016 FOTO) - appesianphylum.com

ALCUNI reperti "paleolitici" (Proffitt T. et al., 2016 FOTO) - appesianphylum.com

Questo studio spodesta l’uomo e gli altri ominini antichi come gli unici in grado di produrre tale tecnologia litica, che non sarebbe quindi comparsa con il nostro lignaggio, ma sarebbe comparsa in tempi più antichi e in gruppi diversi dal nostro. Per esempio, i cebidi citati prima sono un po’ “distanti” dal nostro lignaggio.

Servono, quindi, requisiti cognitivi appositi per scheggiare intenzionalmente dei pezzi di roccia? A quanto pare no, anche se in questo articolo del 2016 non ci si sbilanciava troppo sull’intenzionalità della scheggiatura, nonostante i prodotti siano, morfologicamente parlando, sostanzialmente identici. Forse, e lo vedremo con il prossimo articolo pubblicato nel 2023, noi umani ci siamo elevati un po’ troppo. Non è da escludere che anche i primi tagli paleolitici fossero casuali, non intenzionali, e solo dopo tempo i nostri antenati si siano resi conto dell’utilità di queste pietre dal bordo tagliente.

Questo perché i cebi citati prima utilizzano le pietre per estrarre ragni o altri artropodi dalle loro tane, o per aprire frutti dotati di “guscio”. I cebi selezionarono alcuni pezzi di quarzo, rotondeggianti, e li scagliarono contro altre parti di minerale più dure, ricavando così parti di roccia appuntita. La cosa interessante è che non utilizzarono quei prodotti taglienti, ma leccarono la polvere prodotta dai minerali, e forse ciò è legato a un contesto alimentare più che a un contesto archeologico-intenzionale. Negli ominini, invece, per quanto riguarda alcune schegge più derivate, questi strumenti servivano per tagliare lembi di carne, per cacciare o difendersi, ma diciamo che, ora come ora, questa nuova “visione archeologica” permetterà, forse, di non associare schegge relativamente poco complesse agli ominini del Paleolitico.

In quest’articolo del 2023 (clicca qui), invece, le cose si fanno molto interessanti. I protagonisti questa volta sono i macachi dalla coda lunga (Macaca fascicularis) di un parco thailandese, e mostra come anche la produzione litica da parte di questi primati non sia così indistinguibile dai prodotti paleolitici. Si rafforza l’idea, assieme alla ricerca precedente, che la scheggiatura involontaria di scaglie concoidali può derivare dal foraggiamento assistito da strumenti nei non-ominini.

Qui si fa un bel confronto con il materiale Plio-Pleistocenico (quello datato tra i 3,3 milioni di anni circa e 1,56 milioni di anni), e si dimostra che le scaglie prodotte dai macachi sono sostanzialmente quasi indistinguibili da quelle dei primi ominini, tanto da poterle letteralmente confondere con quelle più antiche se non si conoscessero i comportamenti di questi macachi.

Quindi, parliamo di casualità o esiste effettivamente un “Limite Sultan”?

Tralasciando questi aspetti molto interessanti, ora possiamo ritornare nel Paleolitico. Oltre ad avere qualche dubbio sulla scheggiatura intenzionale dei primi ominini, di certo siamo un po’ più sicuri su alcuni eventi comparsi successivamente. Infatti, nel Paleolitico l’uomo ha incominciato a padroneggiare il fuoco, ad addomesticare piante e animali (parlerò dell’archeozoologia e dell’archeobotanica in altri articoli) e, in tempi successivi, comparirà una grande innovazione con le specie Homo sapiens e Homo neanderthalensis: l’inumazione volontaria (almeno, fino a 90.000 anni circa fa troviamo tracce del genere). Insomma, si sviluppa anche la sfera simbolica oltre a quella tecnologico-culturale con la comparsa delle specie derivate (ne sapremo tra poco anche per Homo naledi), come per esempio:

  • insediamenti più organizzati, quindi maggiore aggregazione sociale;

  • comparsa sempre maggiore di reperti simbolici (pittura rupestre e arte in generale);

  • riti funerari complessi (soprattutto nella specie Homo sapiens);

  • produzioni specializzate (ornamenti).

Antichi utensili (2,9 milioni di anni circa) sono stati associati al genere Paranthropus. Quando si parla di evoluzione umana, tendiamo sempre a considerare due aspetti fondamentali: l’evoluzione culturale e biologica. Si tende a dare il merito sempre al nostro genere (Homo) per aver inventato la cultura, o meglio utensili che fungessero da “protesi” per svolgere funzioni che con il solo nostro corpo biologico non è possibile svolgere. Per esempio, tagliuzzare la carne o elaborare altri oggetti con intenzionalità.

Arbitrariamente facciamo partire la nostra effettiva storia con Homo habilis, documentato in Africa circa 2 milioni di anni fa, ma la capacità di progettare non è una prerogativa del nostro genere (vi allego un vecchio articolo nei commenti).

Infatti, in questo bellissimo studio vengono associati reperti litici al genere Paranthropus. Per farla breve, quando si parla di evoluzione si prende in considerazione una sorta di biforcazione che si dirama a partire da un gruppo basale, il cosiddetto “antenato comune”. Nell’evoluzione umana il genere Australopithecus (fino a qualche tempo fa Australopithecus sediba) è considerato l’antenato comune del genere Homo e del genere Paranthropus, che si sono sviluppati in modo parallelo e indipendente occupando, sostanzialmente, nicchie ecologiche diverse. Quindi, i parantropi non sono diretti antenati del nostro genere, ma sono una sorta di lontani cugini che si sono sviluppati parallelamente.

I parantropi sono conosciuti anche come “australopitecine robuste”, proprio per via di alcuni caratteri particolari: denti grandi tali da aumentare la superficie di masticazione, e in generale un apparato masticatorio molto “forte” capace di processare cibi “duri”.

Questa notizia, però, cambia un po’ il quadro della situazione in quanto anche i parantropi utilizzavano utensili per scopi alimentari, e quindi si sposta, o meglio si “retrodata”, la comparsa della produzione litica intenzionale.

C’è da fare un appunto paletnologico. A differenza di altre “testate” non ho scritto che si tratta degli utensili più antichi in quanto il sito archeologico più antico, al momento, è quello di Lomekwi, nel quale sono stati rinvenuti gli utensili in pietra più antichi (3,3 milioni di anni circa). Come potrete leggere dopo, la scheggiatura parrebbe essere intenzionale ed elaborata a differenza delle produzioni di Lomekwi che si avvicinano di più alla produzione dei primati moderni. Infatti, qui parliamo di “tradizione tecnologica”, quindi abbiamo a che fare con utensili prodotti con intenzionalità e con un progetto consolidato; infatti non sarebbe sbagliato dire al massimo “la tradizione ‘intenzionale’ più antica”, questo perché i resti sono ben più antichi della cosiddetta “tradizione olduviana”, la tradizionale tecnologia in Africa Orientale.

A parte tutto questo preambolo, questa però non è una novità perché già in passato era stato ipotizzato che il genere Paranthropus fosse in grado di utilizzare utensili. Un’idea inizialmente scartata perché era un po’ inconcepibile che un genere “poco intelligente” potesse essere in grado di fare ciò, soprattutto perché possedeva dei gran bei dentoni atti proprio alla masticazione di una gran varietà di cibi, anche duri, quindi non potevano aver bisogno di utensili per mangiare.

Ah, che belle le idee antropocentriche. Comunque, in un modo o nell’altro, adesso la situazione sta cambiando proprio per i reperti rinvenuti in un sito nel Kenya sudoccidentale sulle rive del lago Vittoria.

In parole povere, sono stati rinvenuti molari di parantropi assieme ad ossa di ippopotamo e ad utensili taglienti e modellati. Oltre ai vari studi etologici (li trovate nei commenti) riguardanti alcuni primati odierni che utilizzano utensili, anche per scopi alimentari, si rafforza l’idea (finalmente!) che questa capacità non fosse (o meglio, non è!) una prerogativa del nostro genere, ma anche di altri ominini e primati.

Ma uno potrebbe chiedersi “e che tipologie di utensili sono stati rinvenuti”? Beh, bella domanda, perché ciò che è stato rinvenuto rafforza la precedente dichiarazione. Nel sito, infatti, sono stati rinvenuti:

  • utensili affilati per raschiare e tagliare;

  • blocchi di pietra da cui sono stati progettati gli utensili taglienti;

  • altri blocchi di pietra utilizzati per produrne altri attraverso colpi/percussione;

  • utensili ricavati da rocce ricche di riolite o quarzo.

Insomma, parliamo comunque di una cultura tecnologica già ben sviluppata, nella quale non si osserva una semplice scheggiatura delle rocce ma l’applicazione di un progetto ben definito, come dimostrano i vari ruoli che assumono le rocce in base all’utilizzo. C’è anche una buona conoscenza del territorio circostante, e non è un elemento da sottovalutare.

E gli ippopotami?
Si tratta di resti macellati dagli utensili rinvenuti in loco, ma ciò non significa che il genere Paranthropus cacciasse. Infatti, come anche per Homo habilis, o comunque per le prime specie associate al genere Homo, questi avrebbero incontrato gli ippopotami morti, o sul punto di morire, e così facendo si sono potuti procurare facilmente ossa e carne. Non si disdegna mai una “facile preda”.

Insomma, la produzione litica intenzionale è più antica di quanto studiato precedentemente, e non è a conti fatti una prerogativa del nostro genere. Per lo studio, clicca qui.

Foto di alcuni reperti attribuiti a Paranthropus (Plummer et al., 2023 FOTO) - appesiaunphylum.com