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Può il cervello umano preservarsi per circa 12.000 anni?
Questa ricerca è estremamente interessante poiché si propone di comprendere la resistenza alla decomposizione del cervello umano (o di qualsiasi organismo).
TAFONOMIA: I VERTEBRATI
9/16/20255 min leggere
Questa ricerca è estremamente interessante poiché si propone di comprendere la resistenza alla decomposizione del cervello umano (o di qualsiasi organismo). Dopo la morte, il corpo inizia a decomporsi, e ogni parte si decompone in tempi diversi: cervello, milza, vescica, reni, polmoni e cuore si disgregano prima rispetto a testicoli, prostata, ovaie e utero. L'ambiente può svolgere un ruolo cruciale sia nella conservazione che nella disgregazione dei resti organici, e quest'ultimo può essere in qualche modo inibito se:
il cadavere è immerso nell'acqua, poiché il calore corporeo viene disperso più rapidamente;
il pH non è troppo basico o acido. Ad esempio, il corpo non deve essere esposto all'aria (pH basico), e in generale, maggiore è l'estremizzazione del pH, più rapida sarà la decomposizione.
Anche la temperatura svolge un ruolo cruciale in questo contesto. Dopo la morte, il cadavere si adatta alla temperatura dell'ambiente, e di conseguenza cessano tutti i processi di natura enzimatica. Gli enzimi autolitici, come la fosfatasi, si attivano con la morte dell'organismo a causa della cessazione della secrezione cellulare. Entra in gioco il rigor mortis:
Inizialmente si verifica una riduzione dell'ATP nei muscoli e successivamente un aumento dell'acido lattico;
Dopo circa 24 ore, il fenomeno si manifesta con l’irrigidimento del corpo;
Successivamente, il rilassamento avviene man mano che la degradazione cellulare aumenta a causa della putrefazione (autolisi). Questa è associata ad alcune proteine che favoriscono la proliferazione di microbi anaerobici, ma ciò diventa evidente solo dopo alcuni giorni;
Dopo circa una settimana, i tessuti si gonfiano, formando vesciche;
Dopo circa tre settimane, vari gas, come CO2, H2S, CH4, NH3, ecc., e volatili organici, come il benzene (C6H6), si formano all'interno del corpo e attaccano i tessuti;
Dopo circa un mese, il corpo, ormai sfigurato, inizia a liquefarsi. I rigonfiamenti si manifestano principalmente nella zona ventrale, a livello dell'intestino, che, indebolendosi e lacerandosi, rilascia i gas citati precedentemente (possono fuoriuscire anche dall'ano).
Tornando al cervello, dopo aver esaminato cosa accade a un organismo dopo la morte (prima della sepoltura e della potenziale fossilizzazione), sembrava che il cervello si degradasse prima di altre strutture organiche. Tuttavia, uno studio prevalentemente bibliografico indica che i casi di cervelli preservati per migliaia di anni non sono estremamente rari; si contano circa 1300 casi in cui solo il cervello ha resistito, a differenza degli altri organi o tessuti molli. Alcuni di questi cervelli hanno più di 12.000 anni, e ci sono casi eccezionali come quello dell'uomo di Tollund, i cui tessuti sono stati preservati grazie al contesto paludoso del luogo del ritrovamento, o la conservazione di corpi più recenti rinvenuti in alcuni relitti. La saponificazione (trasformazione di sostanze grasse in "sapone"), la disidratazione e il congelamento consentono la preservazione del cervello e dei tessuti morti, ma sembra che il cervello segua un destino diverso rispetto agli altri organi o tessuti. In determinate circostanze, sostanze come il ferro possono formare legami incrociati tra lipidi e proteine, creando molecole più stabili che resistono alla degradazione. È importante considerare che i cervelli tendono ad assumere lo stesso colore del terreno circostante, e che potrebbero esistere condizioni favorevoli alla preservazione che ancora non conosciamo. È probabile anche che in alcuni scavi il materiale conservato venga scartato perché non riconosciuto come tale, il che potrebbe valere anche per animali estinti milioni di anni fa.
Entriamo nel dettaglio (se vi va di approfondire)
(a) Tendenze geografiche, climatiche e temporali nella conservazione del cervello
Come già accennato, il clima svolge un ruolo di fondamentale importanza. Un evento poco comune chiamato saponificazione comporta la trasformazione di tessuti in adipocere attraverso l'idrolisi dei trigliceridi. L'adipocere si forma facilmente dal tessuto adiposo, ovvero il tessuto connettivo sottocutaneo grasso del corpo, poiché è composto per la maggior parte da trigliceridi (> 98%). Nonostante il cervello contenga un'elevata quantità di lipidi, il suo contenuto di trigliceridi è inferiore all'1%, rendendo improbabile una preservazione di questo tipo. In generale, i cervelli conservati sono stati rinvenuti in ambienti caldi, come deserti, o congelati in tundra o rinvenuti in regioni temperate, come le paludi. Non sembra esserci una temperatura specifica che favorisca la preservazione, quindi un altro fattore significativo potrebbe essere il contesto deposizionale. Ad esempio, la precipitazione di particolari sostanze (escludendo piogge) potrebbe ridurre il tasso di decadimento. È importante notare che molti tessuti molli si conservano meglio quando l'attività degli insetti diminuisce o cessa completamente, o in presenza di argilla e ferro.
Esistono quindi differenze nel tasso di perdita di materiale organico a seconda del contesto ambientale e deposizionale. Tutti i meccanismi di conservazione comportano la perdita d'acqua dai tessuti, ad eccezione della saponificazione che comporta invece il consumo d'acqua. Nelle condizioni classiche, dove la decomposizione viene temporaneamente interrotta da condizioni ambientali transitorie, come le temperature estreme che facilitano il congelamento o la disidratazione, troviamo maggiormente cervelli datati di circa 4000 anni o meno. Quando invece le condizioni che interrompono questi processi cambiano, la decomposizione riprende e/o procede e i tessuti vanno incontro a degradazione e decomposizione.
(b) Meccanismi di conservazione del cervello su scale temporali geologiche
E per i cervelli più antichi? Qui iniziamo a trattare almeno 12.000 anni dal punto di vista geologico, un'età che supera l’età massima per la disidratazione del cervello (circa 9000 anni), il congelamento (circa 5200 anni) e la saponificazione (circa 2800 anni). Il cranio potrebbe agire come un "termos", una sorta di ambiente chiuso che preserva il cervello dopo la morte. Alcuni cervelli, tuttavia, sono stati trovati all'interno di crani rotti o frammentati, eliminando questa sorta di protezione e suggerendo che il contesto deposizionale, insieme al cranio e alla "qualità" del tessuto nervoso, consentono una conservazione a lungo termine del cervello. Durante il processo di fossilizzazione dei tessuti molli, proteine, zuccheri e lipidi convergono nella composizione attraverso processi di glicazione e lipidazione, formando così macromolecole polimerizzate chimicamente. Questo processo comporta la reticolazione tra residui di amminoacidi e specie carboniliche reattive (RCS) formate durante la diagenesi. I residui contenenti tioli reticolano selettivamente in presenza di RCS derivati dai lipidi e con residui idrofobici adiacenti. Con catene laterali reattive contenenti zolfo, i residui contenenti tioli tendono ad essere "sequestrati" nel nucleo delle proteine transmembrana, che sono strettamente legate ai lipidi di membrana e presentano un'elevata percentuale di residui idrofobici. Il cervello, che ha la più alta concentrazione di proteine transmembrana rispetto a qualsiasi altro tessuto, rappresenta una miscela ideale di reagenti precursori solforosi e ricchi di lipidi per questo ipotetico percorso di fossilizzazione.
Se a questi processi aggiungiamo anche fasi inorganiche, come la complessazione di metalli seguita dalla nucleazione di minerali, che replicano o stabilizzano chimicamente i tessuti nervosi, potrebbero favorire una preservazione così eccezionale. Un candidato ideale è il ferro, un metallo di transizione molto abbondante tra gli organismi. È interessante notare che nel cervello il ferro si accumula con l’invecchiamento, e la presenza di questo metallo nei reperti studiati è stata confermata soprattutto attraverso le diverse colorazioni, che dipendono dai diversi stati di ossidazione del ferro: gli ossidi ferrici (Fe[III]) tendono ad essere rosso-arancio (ematite e ferriidrite) o gialli (goethite), mentre i solfuri ferrosi (Fe[II]) (come la pirite) e gli ossidi ferrosi-ferrici (come la magnetite) sono neri.
I metalli, quindi, possono aumentare il potenziale di reticolazione organica, fornendo una sorta di sovrapposizione tra questi possibili meccanismi di conservazione. Per quanto riguarda la preservazione degli occhi, degli organi o in generale del tegumento datati al Giurassico potrebbero dipendere da un’azione simile dovuta alla melanina, perché essa comprende gruppi carbossilici, idrossilici e amminici caricati negativamente che legano i cationi metallici per formare complessi stabili. I metalli più pesanti, come Fe(III) e Cu(II), si legano più fortemente e si accumulano nel tempo, e concentrazioni elevate sono state riportate nei melanosomi fossili e diageneticamente alterati. La melanina si trova in molte regioni del cervello come neuromelanina, aumenta con l’età la sua concentrazione ed è una sostanza insolubile e pigmentata. La particolarità è che la neuromelanina è affine al ferro, accumulandolo in vari stati di ossidazione; pertanto, una relazione del genere comporterebbe durante la diagenesi l’incorporazione del zolfo nei lipidi funzionalizzati che promuovono la polimerizzazione, in situ, della melanina. Questo è un processo relativamente rapido ed avviene entro qualche centinaio di anni dalla deposizione, generando kerogene, macromolecole recalcinanti composte da idrocarburi a catena lunga reticolati da ponti poli-solfuro. Un cervello solforoso e ricco di lipidi potrebbe resistere per molto tempo alla degradazione ed alla decomposizione.
Fonte: Morton-Hayward Alexandra L., Anderson Ross P., Saupe Erin E., Larson Greger and Cosmidis Julie G. 2024Human brains preserve in diverse environments for at least 12 000 yearsProc. R. Soc. B.29120232606
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