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Varianti Neanderthal giocano un ruolo importante nella suscettibilità all’autismo
Alcune varianti genetiche ereditate dai Neanderthal sembrano aumentare la suscettibilità all’autismo, influenzando la connettività cerebrale e le funzioni neuronali negli esseri umani moderni.
OMININI: INCROCI E GENETICASAPIENS: EREDITÀ "ESTERNE"
9/28/20252 min leggere
Questa ricerca è molto particolare perché, di per sé, sappiamo che i geni neanderthaliani influenzano le nostre vite nei modi più disparati. Infatti, ci hanno permesso di sopravvivere al freddo glaciale, ci proteggono da alcuni virus (e ci espongono ad altri). Però ora si pensa che possa esserci un collegamento con l’autismo. Le ibridazioni con il Neanderthal suggeriscono che il DNA di questa specie ha avuto effetti a lungo termine sull’organizzazione e le funzioni cerebrali degli esseri umani moderni.
È stato notato che le persone autistiche presentano una maggiore presenza di varianti genetiche neanderthaliane rare rispetto a quelle che si riscontrano nelle popolazioni eurasiatiche, e ciò indica che molte di queste varianti stanno lentamente scomparendo dal nostro genoma. Ma alcune di esse persistono.
In generale, sono stati identificati 25 polimorfismi genetici (SNPs) che sarebbero associati all’autismo, con alcune varianti che influenzerebbero l’espressione genica nel cervello. Alcune di essi sono SLC37A1, che è implicato in funzioni cellulari metaboliche; USP47, comune negli individui maschili con epilessia, almeno nell’80% dei casi; COX10, che è una rara mutazione legata all’autismo.
C’è da dire che le persone autistiche non presentano una maggior quantità di DNA neanderthaliano rispetto ai non autistici, ma c’è in realtà una maggiore concentrazione di specifiche varianti genetiche, anche nei genitori degli individui autistici. Inoltre, non tutti gli individui autistici presentano gli stessi fattori di suscettibilità, ma sembra che le varianti neanderthaliane influenzino una parte significativa degli individui autistici.
Ciò che ne consegue è che le varianti neanderthaliane giocano un ruolo importante nella suscettibilità all’autismo in tante popolazioni, quindi, in qualche modo, questa connessione “genetica” sembra essere molto antica. Gli esseri umani moderni hanno acquisito alcuni geni neanderthaliani attraverso il processo chiamato introgressione, e già si conoscono varianti che influenzano funzioni come il sistema immunitario, la pigmentazione della pelle e dei capelli, ecc. In questo caso, come indicato anche da studi precedenti, un arricchimento di DNA neanderthaliano è associato in genere a morfologie cerebrali e connettività neurali, mostrando somiglianze con i pattern cerebrali tipici dell’autismo. In particolare, è stato osservato un aumento della connettività nelle aree visive del cervello e una riduzione della connettività nelle reti neurali sociali, caratteristiche anch’esse comuni nell’autismo.
La presenza di varianti genetiche Neanderthal in persone con autismo suggerisce un legame significativo tra i tratti genetici arcaici e le caratteristiche moderne del cervello umano, aprendo nuove vie di ricerca sulla genetica e le potenziali terapie per l'autismo.
Vediamo altri risultati legati a questa ricerca:
I Neanderthal, avendo subito un "collo di bottiglia" genetico, hanno probabilmente conservato varianti debolmente deleterie che sono ancora rappresentate nel genoma umano moderno.
I risultati suggeriscono che alcune varianti neanderthaliane rare e comuni sono coinvolte nella suscettibilità all'autismo, all’epilessia e alla regressione del linguaggio.
Alcuni SNPs potrebbero essere sottoposti a selezione positiva debole, suggerendo un ruolo evolutivo nella conservazione di queste varianti nel genoma umano.
Questo è il primo studio che fornisce prove solide per il ruolo attivo di una sottosezione di alleli rari, così come alcuni comuni, derivanti dai Neanderthal nella suscettibilità all'autismo in diverse popolazioni americane.
Fonte: Pauly, R., Johnson, L., Feltus, F.A. et al. Enrichment of a subset of Neanderthal polymorphisms in autistic probands and siblings. Mol Psychiatry 29, 3452–3461 (2024).
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